VIAGGIO ALL’INTERNO DELLA NEGOZIAZIONE
in tre tappe, Firenze, Venezia, Torino e una destinazione, Milano
Appunti di viaggio dalla prima tappa, Firenze, 10 novembre 2023
Come si negozia nella Pratica Collaborativa
Moderatore, Avv. David Cerri: Che bisogno c’era della Pratica Collaborativa, ovvero di un
ulteriore metodo di negoziazione dato lo sviluppo di mediazione familiare e mediazione civile?
Avv. Carla Marcucci
Nelle dispute legali non possiamo cambiare l’approccio delle persone al conflitto senza cambiare gli avvocati.
C’era bisogno della Pratica Collaborativa perché è con questo metodo che si è intervenuti per la
prima volta sugli avvocati che assistono le parti, teorizzando un loro diverso ruolo e imponendo una loro specifica formazione alla negoziazione. Nelle dispute legali non possiamo cambiare l’approccio delle persone al conflitto senza cambiare gli avvocati. Gli avvocati sono soggetti irrinunciabili ma è necessario dare consistenza ad un loro ruolo diverso da quello di litigator. Questa fu l’intuizione geniale dell’inventore del Diritto Collaborativo, l’avvocato matrimonialista Stuart Webb, e la ragione della nascita, nel 1990, del metodo che ha a suo presupposto un altro concetto fondamentale, ossia che il valore principale del sistema legale risiede nella negoziazione mentre il contenzioso è evento del tutto secondario, che va responsabilmente risparmiato, come risorsa preziosa, al pari dell’acqua, da parte del cittadino, come ha osservato la Prof.ssa Paola Lucarelli con una metafora molto evocativa.
Nella Mediazione familiare e nella Mediazione civile, invece, la novità è nella individuazione della figura del mediatore terzo e neutrale lasciando la difesa delle parti quella che era, in un caso – la mediazione familiare – con gli avvocati fuori della stanza di mediazione, nell’altro – la mediazione civile – con gli avvocati dentro. In entrambi i casi senza assicurarsi che i difensori condividano formazione, metodo ed obiettivi e possano, dunque, svolgere un ruolo educativo di indispensabile supporto individuale al proprio cliente. In entrambi questi due ultimi contesti non vi è alcuna garanzia che i difensori delle parti abbiano piena consapevolezza della necessità di avere una postura completamente diversa da quella ammessa nel contesto di una trattativa tesa ad una transazione o in un giudizio contenzioso, possibile solo a seguito di una specifica formazione.
Tale fondamentale diversità d’impostazione – concentrarsi sul mediatore non curandosi dei
difensori – la si ritrova oggi nell’approccio del riformatore che, ancora una volta, ha regolamentato ruolo e formazione del soggetto mediatore dimenticandosi completamente di prendere in considerazione quella del difensore, come se fosse possibile consolidare la forza innovativa del mediatore lasciando intatto tutto ciò che gli sta intorno e soprattutto i professionisti che sono il punto di riferimento per le parti, ossia i loro difensori.
Ma tornando a Stuart Webb, in che modo realizzò la sua intuizione? Con tre cambiamenti fondamentali concernenti l’avvocato, ossia prevedendo:
- per l’avvocato collaborativo un ruolo molto diverso da quello di litigator che gli avvocati
esercitano per la tutela giudiziaria dei diritti e che usualmente svolgono, in modo identico, anche nelle trattative tradizionali per definire un conflitto con una transazione; - la necessità di una formazione specifica e condivisa come avvocati risolutori di conflitti
competenti nella negoziazione basata sugli interessi anziché sulle posizioni, ossia quel modello di negoziazione elaborato dalla scuola di Harvard. La negoziazione legale, infatti, richiede lo stesso livello di conoscenza e sofisticatezza della migliore arringa e - il mandato limitato, ovvero finalizzato al solo raggiungimento dell’accordo prevedendo, come regola davvero innovativa rispetto all’esistente, che gli avvocati che assistono le parti nella negoziazione collaborativa debbano impegnarsi a non rappresentarle nell’eventualità di un contenzioso che faccia seguito al fallimento di quel negoziato
per giungere al risultato di avere un nuovo avvocato, ossia:
Un avvocato non antagonista, formato a maneggiare insieme, in un complesso equilibrio, interessi e diritti, a bilanciare assertività ed empatia, ad affrontare fasi integrative e fasi distributive della negoziazione, ad aiutare le parti a creare valore prima di distribuirselo, a considerare le conseguenze a medio e lungo termine delle loro scelte piuttosto che limitarsi a valutazioni riferite al vantaggio immediato. In sintesi, a educare, lungo tutto il procedimento collaborativo, il proprio cliente a negoziare sulla base degli interessi anziché sulle posizioni e a promuoverne l’autodeterminazione.
Un avvocato che, nell’interesse del cliente, sappia lavorare insieme al collega, per accompagnare le parti ad individuare soluzioni vantaggiose e rispettose anche degli interessi dell’altra parte. Nel prevedere questo vero e proprio cambio di paradigma, con i tre assunti sopra descritti, l’avvocato Webb intese potenziare al massimo le capacità creative dei difensori delle parti in conflitto, assicurare ai clienti un soggetto capace di educarli a lavorare sugli interessi e bonificare il campo negoziale dal possibile condizionamento che il difensore avrebbe potuto subire dalla doppia veste di negoziatore che oggi lavora sugli interessi e di litigator che domani potrebbe combattere una battaglia senza esclusioni di colpi per affermare le ragioni del proprio assistito e far accertare i torti della controparte per batterla e vincere.
Ciascuna parte ha necessariamente un proprio avvocato presente sin dall’inizio del procedimento collaborativo.
Proprio in ragione del fatto che con il diritto collaborativo (o pratica collaborativa) emerge una figura completamente diversa di difensore, il cui contributo è ritenuto essenziale ed irrinunciabile, ciascuna delle parti è assistita durante tutto il procedimento collaborativo da un suo difensore.
Non c’è bisogno di togliere l’intralcio dell’avvocato che con un atteggiamento posizionale potrebbe ostacolare la negoziazione. Al contrario, la nuova figura dell’avvocato, esperto di negoziazione basata sugli interessi, diventa una figura essenziale della fase negoziale.
Dal Diritto Collaborativo alla Pratica Collaborativa
Nella successiva elaborazione del Diritto Collaborativo, attraverso il contributo di importanti
esponenti del mondo sociopsicologico in California, il metodo si arricchisce dell’interdisciplinarità perché si prevede che i due avvocati lavorino all’interno di un team composto, a seconda delle esigenze del caso, da un facilitatore della comunicazione/esperto di relazioni familiari, da un esperto dell’età evolutiva e/o da un esperto finanziario. Il Diritto Collaborativo diventa così Pratica Collaborativa.
Con questo passaggio si vuole assicurare che tutti i vari aspetti coinvolti in un conflitto –relazionali, economici e legali – siano compresi.
Nel settore del diritto di famiglia, nell’ambito del quale il Diritto Collaborativo è nato, per una coppia in conflitto lavorare intorno ad un tavolo con un team composto da più professionisti con diverse competenze significa innanzitutto avere costantemente e fisicamente rappresentata la necessità di tenere conto di tutti gli aspetti rilevanti durante il percorso di riorganizzazione delle relazioni familiari, ossia, come già indicato, quelli relazionali, economici e legali. Al tempo stesso la co-presenza di professionisti diversi è garanzia di competenze diverse e di ascolto di tutte le diverse istanze provenienti dai vari fronti implicati, e ciò consente di lavorare meglio e più rapidamente, e conseguentemente con risparmio di costi.
La collaborazione fra professionisti con diverse competenze è prassi assai diffusa anche al di fuori del metodo collaborativo – può avvenire certamente anche nella mediazione familiare e nella mediazione civile – ma la specificità dell’approccio collaborativo è rappresentata dalla contestualità degli interventi e dalla condivisione fra i professionisti coinvolti di uno stesso metodo di lavoro dato che tutti aggiungono alla loro specifica e diversa competenza anche la formazione comune alla Pratica Collaborativa.
Si tratta di un vero e proprio team di lavoro più che di diversi professionisti che lavorano in
connessione fra loro. Per fare un paragone con la medicina si pensi ad un’equipe medica che interagisce nell’ambito di uno stesso protocollo di intervento, formata allo stesso metodo, piuttosto che più medici, pur bravissimi e in comunicazione fra loro, che lavorano autonomamente l’uno dall’altro. Nel team collaborativo s’incrociano i diversi saperi e si usano contemporaneamente.
All’interdisciplinarità del team si aggiunge la contestuale presenza al tavolo di advocacy, ovvero difesa (avvocati), e neutralità (facilitatore, esperto dell’età evolutiva, esperto finanziario), con il risultato di un equilibrio costante fra i due come frutto di un ottimo lavoro di squadra.
L’attenzione per gli aspetti emotivi e per un’efficace comunicazione previene o consente di gestire momenti d’impasse che sarebbero favoriti da una gestione del conflitto come vicenda meramente razionale.
Buona fede, Trasparenza e Riservatezza
Le parti si obbligano alla trasparenza, ossia a condividere tutte le informazioni, non solo di carattere economico, rilevanti per mettersi reciprocamente in condizione di valutare la bontà di un accordo e allo stesso tempo s’impegnano a mantenere riservate le informazioni ottenute. Questa caratteristica spaventava molto prima che la normativa prevedesse una completa disclosure anche nei procedimenti giudiziari. Oggi sappiamo che sin dagli atti introduttivi di un procedimento contenzioso è necessario documentare le proprie condizioni economiche in modo dettagliato, senza che la disclosure sia rimessa alla eventualità di una CTU contabile. Ma condividere le informazioni perché scelgo di farlo ha un significato ed un effetto molto diversi rispetto a farlo perchè obbligato.
L’impegno alla trasparenza che si assume sedendosi ad un tavolo collaborativo rappresenta il primo mattone che si pone per costruire, o ricostruire, quel rapporto di fiducia, spesso distrutto dal conflitto, soprattutto quando si tratta della crisi del rapporto sentimentale, tanto necessario per proseguire nel rapporto, che sia fra due genitori che dovranno condividere la responsabilità dei figli anche da genitori separati o fra due soci che dovranno gestire le sorti di un’azienda. L’impegno alla trasparenza, dunque, opera a due livelli: nel merito, e su un piano fattuale, consente quelle valutazioni corrette che permettono di verificare la bontà di un accordo; sul piano relazionale rappresenta la strada maestra per la costruzione, lucida, motivata e razionale, della fiducia reciproca. Un approccio molto diverso di quello tipico della negoziazione tradizionale che parte dal sospetto per arrivare alla prova servendosi necessariamente, ad esempio, di un investigatore privato.
A questo principio fondante della Pratica Collaborativa dell’obbligo alla trasparenza fa da
contrappeso l’altro principio, altrettanto fondamentale, della riservatezza. Le informazioni che vengono condivise nell’ambito di un procedimento collaborativo non potranno essere utilizzate al di fuori di quel contesto riservato e sicuro dove i partner hanno deciso di impegnarsi per trovare un accordo. Deve essere bandito dal tavolo collaborativo qualsiasi atteggiamento strumentale che tenda ad utilizzare quel contesto per acquisire informazioni da sfruttare a proprio vantaggio in un futuro giudizio contenzioso fra le parti.
Nel complesso il comportamento delle parti è orientato in ogni scelta dal principio di buona fede che guida anche nella soluzione di qualsiasi dubbio.
Accordo di Partecipazione
Parti e professionisti si obbligano al rispetto delle regole e dei principi della Pratica Collaborativa
mediante la sottoscrizione, all’avvio del procedimento collaborativo, di un Accordo di Partecipazione senza il quale non esiste un procedimento collaborativo.
Dalla sottoscrizione dell’Accordo di Partecipazione si avvia la negoziazione collaborativa che si articola in varie fasi seguendo una sorta di roadmap:
– Individuazione di obiettivi e interessi
– Raccolta delle informazioni sulla base del principio di buona fede e trasparenza con
l’impegno alla riservatezza
– Creazione delle opzioni mediante brainstorming
– Valutazione delle opzioni
– Raggiungimento dell’accordo
– Formalizzazione dell’accordo
In sintesi, la Pratica Collaborativa ha inserito il modello di negoziazione basata sugli interessi
elaborato dalla scuola di Harvard in una sorta di contenitore sicuro, una costruzione le cui fondamenta, pareti e tetto, sono formate dalle regole e dai principi condivisi mediante la sottoscrizione dell’Accordo di Partecipazione: buona fede, trasparenza, riservatezza, mandato limitato/finalizzato, lavoro in team oltre alla partecipazione personale delle parti assistite da professionisti formati allo stesso metodo.
In questo modo la Pratica Collaborativa ha deliberatamente creato le condizioni più idonee a
moltiplicare la possibilità di raggiungere accordi, una sorta di ecosistema favorevole alla crescita della pianta della comprensione e all’individuazione di soluzioni condivise.
Un obiettivo più ambizioso del solo raggiungimento di un accordo duraturo:
rendere le parti capaci in futuro di negoziare autonomamente
Con l’impianto sinteticamente descritto la Pratica Collaborativa risponde anche alla sfida di un
mondo sempre più complesso ed in perenne cambiamento dove capacità di adattamento e flessibilità sono indispensabili e nel quale l’obiettivo, nella gestione di un conflitto, si è spostato da quello di raggiungere un accordo duraturo e stabile a quello di rendere le persone competenti a trovare sempre nuovi accordi negoziando in via autonoma per far fronte ad esigenze nuove, nell’ambito di rapporti familiari, aziendali o d’altra natura, comunque destinati a durare nel tempo. Nessun accordo, per quanto buono e tagliato su misura delle parti in conflitto, potrà mai azzerare l’instabilità della vita reale e la necessità di progressivi adattamenti alle nuove esigenze.
Ebbene, il contesto della Pratica Collaborativa offre in primo luogo un’esperienza di lavoro di squadra che le parti in conflitto fanno in prima persona con il sostegno di un team di professionisti affiatato e preparato che offre allo stesso tempo educazione alla negoziazione ed anche un modello da imitare. Vivere in prima persona questa esperienza offre alle parti un’occasione per imparare ad essere autonome nel gestire e
risolvere in futuro le differenze. Obiettivo, questo, oggi più che mai indispensabile per cercare di rendere il mondo, oltre che la propria famiglia o la propria azienda, un luogo migliore.
Nella prossima pubblicazione degli appunti di viaggio riferiremo l’intervento alla tavola rotonda
dell’Avv. Elisabetta Valentini.