VIAGGIO ALL’INTERNO DELLA NEGOZIAZIONE
in tre tappe, Firenze, Venezia, Torino e una destinazione, Milano
Appunti di viaggio dalla prima tappa, Firenze, 10 novembre 2023
Come si negozia nella Pratica Collaborativa
Un gioco di squadra tra:
Avv. Carla Marcucci, Avv. Elisabetta Valentini, Dott. Monica Tomagnini e Rag. Fabrizio Baccellini
Moderatore, Avvocato David Cerri: Ma l’avvocato – che cerca sempre una soluzione stragiudiziale, prima e durante un contenzioso -non è per definizione “collaborativo”? Come si traduce quindi nella pratica la collaborazione in senso tecnico?
Avvocato Elisabetta Valentini
Quella di “professionista collaborativo” è in realtà una definizione, riconosciuta a livello internazionale, per identificare un professionista formato alla gestione di una Pratica Collaborativa.
Qualche volta capita che un collega che non ha queste informazioni, mi scriva utilizzando la parola “collaborativo” in senso puramente letterale, lamentando ad esempio (in una trattativa stragiudiziale) di aver fatto il possibile per cercare di risolvere la questione in modo collaborativo.
Sarebbe opportuno che noi avvocati ci rendessimo conto che abbiamo delle inconsapevoli abitudini avversariali, acquisite attraverso una formazione da professionisti preparati al contraddittorio processuale, e che queste possono manifestarsi, talvolta: nel nostro linguaggio abituale (ad esempio ci riferiamo all’altra parte della controversia come “avversario”), oppure si possono manifestare nelle nostre reazioni o nel comportamento che teniamo con l’altra parte, con i colleghi e con gli altri professionisti coinvolti.
Nel momento in cui ci rendiamo conto di questo ci sarà anche evidente che per un avvocato che desideri assistere un cliente in un procedimento collaborativo sarà necessario cambiare radicalmente il modo di lavorare, abbandonando questi vecchi modelli e la sua “comfort zone”. Acquisendo nuove competenze (ad esempio: partecipando a corsi di negoziazione basata sugli interessi, di comunicazione non violenta ecc,), un nuovo modo di pensare (in termini di ricerca di interessi e di creazione delle opzioni ecc.), un nuovo linguaggio e modo di parlare (con rispetto e considerazione dei bisogni dei partecipanti alla negoziazione, astenendosi dal minacciare ad esempio il ricorso al giudizio, avendo cura di non usare tecniche di ancoraggio ecc.) e un nuovo modo di comportarsi (mettendo le parti al centro del procedimento, permettendo la loro autodeterminazione, condividendo con lealtà e trasparenza tutte le informazioni necessarie, facendosi trovare preparati ad ogni incontro, non cogliendo l’altra parte di sorpresa, assicurandosi che il proprio cliente stia rispettando gli impegni presi, ricorrendo al team dei professionisti per risolvere insieme i problemi che emergono di volta in volta). L’avvocato dovrà anche provare nuovi modelli e prospettive e imparare nuove tecniche specifiche (di ascolto, di comunicazione, anche di negoziazione, come utilizzare il brainstorming) ed approcci tipici di altre discipline (come l’arte di porre le domande). Dovrà anche imparare a gestire il procedimento nel rispetto di una struttura: fatta di riunioni di team, debriefing, riunioni con i professionisti ed incontri con il cliente. Durante tutto il procedimento la preparazione, propria, del cliente, col team sarà cruciale e comporterà dispiego di tempo e di energie. In altre parole, l’avvocato dovrà ampliare notevolmente le proprie capacità professionali.
Ecco, quindi spiegato, come l’aggettivo collaborativo, inteso unicamente nel suo significato letterale, non esaurisce certamente, e forse non chiarisce neppure bene, le modalità con le quali l’avvocato lavora con questo metodo e le finalità perseguite dal metodo.
Altre volte può capitare invece che la parola “collaborativo” venga interpretata in senso negativo, ossia nel senso che il professionista possa compromettere l’attività difensiva o addirittura che l’avvocato collaborativo possa non tenere in adeguata considerazione il diritto, ci si può addirittura aspettare una focalizzazione basata solo sugli interessi/bisogni e un atteggiamento da negoziatore remissivo.
Entrando quindi nel vivo del lavoro al tavolo collaborativo penso sia importante da subito precisare che l’avvocato non abdica in nessun modo alla professione per la quale ha studiato, si è preparato e si è specializzato e resterà sempre concentrato sulla difesa del proprio assistito. Anche se questa difesa assumerà un’accezione più vasta perché dovrà tenere conto degli interessi e bisogni del cliente, cercando d’ “incastrarli ed armonizzarli” con quelli dell’altra parte, e molto diverso sarà il rapporto professionale che verrà instaurato con lo stesso cliente, con l’altra parte e il difensore di quest’ultima.
Gli avvocati collaborativi conoscono gli aspetti positivi e negativi dell’utilizzo del diritto nelle negoziazioni, non lo usano in maniera antagonista, per dare forza alle loro posizioni, e sanno parlare del diritto in un modo diverso (sia con il proprio cliente che con l’altra parte) e al tavolo negoziano “alla luce del diritto”.
Una luce che può illuminare il cammino, ma che non determina necessariamente il punto di arrivo, né limita la creazione delle opzioni.
Penso sia utile fare due esempi di come viene utilizzato il diritto nella Pratica Collaborativa.
- Nel primo incontro con il cliente: l’avvocato gli darà le informazioni giuridiche richieste, ma avrà cura di non “ancorarlo” al diritto e di non spostare il focus dalla ricerca degli interessi alle soluzioni giuridiche basate sui fatti rappresentati peraltro, fino a quel momento, da una sola parte. Molto spesso per i clienti il diritto è sinonimo di giustizia e se ancorati al diritto, pur di soddisfare quel bisogno di giustizia, accetterebbero accordi che non soddisfano la maggior parte dei loro bisogni ed interessi. Quel bisogno di giustizia potrebbe anche sabotare l’intero procedimento collaborativo impedendo alle parti di raggiungere un buon accordo. L’avvocato avrà quindi cura di spiegare al cliente il ruolo sussidiario delle norme dispositive del diritto e, se opportuno, spiegherà anche quali sono i compiti ed i limiti che il Giudice deve osservare, nell’applicazione di quelle norme nel suo specifico caso, e quali interessi (bisogni) potrebbero non trovare alcuna forma di tutela giuridica.
- Durante il procedimento collaborativo, l’avvocato dovrà comunque studiare approfonditamente il caso portatogli dal cliente per individuare la BATNA, ossia “la migliore alternativa all’accordo negoziato” che dovrà essere poi riesaminata in diversi momenti del procedimento. Nel caso di un conflitto familiare l’alternativa è spesso il giudizio e quindi l’ipotetica decisione del Tribunale. Quindi l’individuazione della BATNA dovrà anche tenere conto delle variabili del giudizio. Prima della sottoscrizione di un accordo l’avvocato avrà dato la cliente una completa informazione sulle norme di diritto e la possibile applicazione al suo caso, mettendolo così nella condizione di valutare compiutamente la bontà dell’ipotesi di accordo in discussione. L’accordo verrà sottoscritto solo nel caso in cui sia migliore o quantomeno uguale alla migliore alternativa. Chiaramente nel momento della verifica si farà anche un bilanciamento che terrà conto anche degli interessi soddisfatti dall’accordo che potrebbero non trovare alcuna soddisfazione nell’alternativa.
Inoltre, a conclusione di questo intervento, va evidenziato che poiché il conflitto è un problema complesso, il modo migliore per risolvere con successo i problemi complessi è l’interdisciplinarietà data sia dalle conoscenze trasversali dei professionisti al tavolo collaborativo, rispetto alla specifica competenza di ciascuno, che dal contestuale lavoro a più mani a quello stesso tavolo. Non è un caso che oggi qui, alla tavola rotonda sul tema “Come si negozia nella Pratica Collaborativa”, siamo in quattro professionisti per dare il senso di team professionale di un procedimento collaborativo.
Nelle prossime due pubblicazioni degli appunti di viaggio riferiremo l’intervento degli altri membri del team e di come lavorano nella negoziazione al tavolo collaborativo.