VIAGGIO ALL’INTERNO DELLA NEGOZIAZIONE
in tre tappe, Firenze, Venezia, Torino e una destinazione, Milano
Appunti di viaggio dalla prima tappa, Firenze, 10 novembre 2023
Come si negozia nella Pratica Collaborativa
Il lavoro del facilitatore e dell’esperto dell’età evolutiva nei casi collaborativi
Dottoressa Monica Tomagnini
Focalizzerò alcuni aspetti del lavoro del facilitatore e dell’esperto dell’età evolutiva nelle varie fasi dei casi collaborativo. Il facilitatore sostiene la comunicazione e la relazione tra le parti, non solo tra le queste anche tra gli avvocati e i neutrali. Crea connessioni e risonanze comunicative tra tutti i componenti del gruppo. Non ha un compito terapeutico, il lavoro collaborativo ha un carattere esperienziale, promuove la trasformazione della comunicazione e relazione tra due parti in conflitto al fine di ottenere un accordo condiviso. Nel corso del caso in alcune situazioni particolarmente complesse il Facilitatore sostiene il cambio di paradigma degli avvocati e
dei neutrali, anche se tutto i professionisti sono formati alla Pratica Collaborativa può succedere che nei momenti in cui ci troviamo sotto pressione anche le nostre difese si irrigidiscano e
si ritorni in modo quasi inconsapevole a schemi comunicativi e relazionali e a reazioni quasi automatizzate che abbiamo usato per molto tempo.
Anche il facilitatore deve monitorare le proprie reazioni e modalità comunicative per rimanere in un assetto mentale e relazionale “collaborativo”.
Nel lavoro dei casi infatti non sono gli elementi di conoscenza e teoria in cui si annidano possibili défaillance, ma sono gli aspetti istintivi, legati alle connessioni emotive implicite interne e relazionali, che si presentano involontariamente e passando le difese psichiche, ci sorprendono e si impongono alla nostra attenzione. Per questo motivo è necessaria una formazione accurata che dedica molto spazio allo studio e alla ricerca, ma in particolare a incontri in gruppo scambio di esperienze, auto-riflessioni e considerazioni sulla pratica altrui.
Il conflitto non è un contenuto, ma una modalità di relazionarsi e di pensare, riguarda il modo in cui noi ci rappresentiamo le situazioni. Il lavoro dei professionisti collaborativi comincia prima dell’inizio del caso, questo vale anche per il facilitatore che effettua un colloquio congiunto con le parti per osservare i tratti principali della loro relazione il tipo e il modo di comunicazione.
Questo primo incontro è importante per capire se il legame attivo tra le parti e’ adatto alla pratica collaborativa o se sono preferibili altri interventi. E’ necessario comprendere in particolare se il tipo di comunicazione e relazione delle parti coinvolte nel conflitto permetta il lavoro al tavolo collaborativo e ci sia nelle persone la comprensione e la volontà di aderire ai principi cardini della Pratica Collaborativa. Dopo questo lavoro il f. riporta agli avvocati e ai neutrali i punti di forza e le aree critiche delle parti che possono creare criticità nel lavoro e nella riunione viene deciso se iniziare il caso. La prima riunione di preparazione viene fatta quando gli avvocati incontrano il
facilitatore per parlargli del caso e delle rispettive parti in gioco.
Il facilitatore lavora sempre a stretto contatto con gli avvocati e con i neutrali.
Il lavoro del facilitatore si differenzia da altri interventi e da varie forme di mediazione utilizzate in contesti non collaborativi: ad esempio non lavora sulla storia delle parti né cerca le cause della
crisi che sia familiare o societaria. Il professionista collaborativo sta aderente al hic et nunc e al compito: trovare un accordo. Il passato è comunque presente e vivo nell’incontro, la competenza
del facilitatore è riconoscere le trame del passato, aree traumatiche e transgenerazionali, ed elaborarle nel contesto e nel modo in cui si presentano senza dover ripercorrere narrazioni ed
interventi che appartengono ad altri setting di lavoro. Non propone neppure una lettura del conflitto, non si simmetrizza con le parti e soprattutto non assume una posizione personale nel conflitto. Nel lavoro sul conflitto in generale si dà ampio spazio all’ascolto dei contenuti e delle” ragioni” delle parti, ma il conflitto non ha un senso logico-razionale, lo ha solo apparentemente, seguire questa strada specialmente nelle fasi iniziali del lavoro è poco fruttuoso. Il conflitto si appoggia su false credenze e su un nucleo forte di emozioni e razionalizzazioni,
che sono quelle che nel campo si esprimono come posizioni a priori .Anche il protocollo di Harvard sui conflitti ricerca gli interessi nascosti sotto le posizioni che sono mascherate da
ragioni e convizioni dirette in realtà da emozioni e non dal pensiero logico.
L’ascolto se non è accompagnato dall’attività di altre aree sensoriali e da alcune funzioni mentali quali l’empatia non può contenere e lavorare sul conflitto. Per questo motivo il facilitatore
non assume una posizione soggettiva, cioè non si definisce in base al conflitto, ma attiva un’ osservazione partecipata della situazione e delle parti, si pone nella posizione di osservatore.
Questa posizione, in cui la psicologia moderna ha seguito un principio della fisica quantistica, modifica l’osservatore e l’oggetto osservato.
A me piace pensare di stare sulla cima di una montagna, e osservare da un vertice che amplia il contenitore del conflitto, creando uno spazio che possa contenere elementi contraddittori
che si trasformeranno successivamente con il lavoro di gruppo.
La costruzione di un contenitore nuovo che possa contenere elementi diversi e contraddittori, è un elemento presente nelle situazioni creative: il gioco, l’ironia, l’arte e il sogno.., è uno spazio transizionale che presenta aspetti paradossali perché sta in bilico tra elementi potenziali ed elementi reali, creando un legame tra questi due poli.
Costruire un accordo in una situazione di conflitto, vuol dire anche riuscire a” vedere” il nuovo, quello che non c’è integrandolo con quello che c’è. Non è un caso che un bel gruppo
dell’associazione si è auto- definito” I Visionari”, e che molti professionisti del IADC usano tecniche artistiche e creative, (relazioni tenute al Forum del 2020 e altri, tecniche giapponesi…).
L’osservazione partecipata crea una visione binoculare che integra e connette aspetti e competenze interne diverse, sensazioni emozioni e pensieri genera capacità di auto-osservazione e di osservazione dell’altro ed attiva funzioni mentali come ad esempio i neuroni specchio che
sono alla base della comunicazione e dell’ascolto empatico.
Queste sono forme di conoscenza incarnata che integrano connettendo: sensorialità- aree motorie- emozioni. La” cognition embodied theory” è una conoscenza più implicita e immediata
rispetto al piano razionale. Il pensiero logico nelle situazioni di stress irrigidisce difensivamente le nostre posizioni con convinzioni solo apparentemente logiche.
Dalla cognition embodied nasce la capacità di rêverie, cioè di creare immagini che rappresentano metaforicamente la situazione che si sta vivendo; in un caso collaborativo ad esempio la situazione di una coppia somigliava a quella del personaggio del film “The Terminal”, questa rêverie ha modificato la loro visione di se stessi e del conflitto, ha esplicitato alcuni interessi
centrali della vita di ciascuno occultati dietro il conflitto, permettendo di trovare un accordo vitale per entrambi.
Accanto a questo lavoro di osservazione partecipata il facilitatore ha il compito di promuovere la coordinazione e lo sviluppo dell’ attività del gruppo e del team. E’ l’unico che conosce tutti i partecipanti fin dall’inizio prima dell’incontro in cui si firma l’accordo di partecipazione, compreso quello con il facilitatore che riprende tutti i principi base della Pratica
Collaborativa.
A questo punto può sorgere spontanea una domanda “perché’ lavorare in gruppo multidisciplinare ?” In una situazione complessa come il conflitto che senso può avere inserire l’attività di un gruppo ?” a prima vista può’ sembrare che lavorare in gruppo aumenti le difficoltà, ma non è così.
Se consideriamo le caratteristiche della nostra specie noi siamo animali gruppali, su questo si fondano alcun dei nostri presupposti istintivi alcune delle nostre competenze innate
determinate biologicamente.
Se consideriamo il punto di vista relazionale, la separazione interrompe i legami di attaccamento creando un senso di solitudine, l’esperienza di lavoro in gruppo riconnette con la base
gruppale perduta e permette di contenere ed elaborare il senso di perdita e di isolamento. Questi sentimenti se non vengono contenuti e trasformati dal gruppo generano angoscia e attivano
difese psichiche e vissuti aggressivi che prendono la forma di posizioni che si oppongono all’accordo e al lavoro collaborativo.
Molti studi psicologici medici antropologici…, sottolineano che il conflitto compreso quello familiare e societario, rappresentano aree traumatiche per i tutti i soggetti coinvolti. Da qui la necessità sociale di elaborare il conflitto per migliorare e sostenere la salute psichica e fisica degli individui e dei gruppi.
Sappiamo dai molteplici studi sul trauma che esso innesca delle difese e comportamenti, in particolare la dissociazione che consiste nella disconnessione rigida di funzioni ed aree
neuropsicologiche dei processi mentali dei soggetti e dei gruppi, per esempio le emozioni e il pensiero non sono più connessi.
Fare esperienza di un lavoro di gruppo permette di integrare aspetti di sé che si sono disconnessi con l’esperienza traumatica del conflitto. I professionisti rappresentano aspetti interni delle
parti aspetto logico razionale-avvocato- aspetto emotivo-facilitatore- aspetto economico-esperto finanziario, aspetto genitoriale- esperto dell’età evolutiva…,lavorare in un gruppo
con la co-presenza attiva di tutti i professionisti, permette che la loro presenza e i loro interventi nel lavoro congiunto promuovano l’integrazione interna delle parti in conflitto. Questo inoltre è in
sintonia con la teoria della complessità, di cui si è molto parlato nel corso delle relazioni e della giornata di studio. I sistemi complessi come le famiglie le associazioni le società…sono definite complesse poiché gli elementi che le compongono sono interconnessi quindi non possono essere separati e studiati separatamente.
Il gruppo di lavoro non esiste a-priori, non è sufficiente la presenza di 5 persone per creare un gruppo.
C’è un percorso per diventare un gruppo è necessario creare un’atmosfera di fiducia ed una comunicazione fluida per conoscersi e scambiare esperienze sensazioni e pensieri il gruppo e’ un’entità a sé stante è un soggetto diverso dalla somma delle persone che lo compongono: ha un’ atmosfera, sensazioni e pensieri propri, ha i propri luoghi e riti che creano una casa per le nostre emozioni.
Negli incontri effettuati nel corso dei casi in particolare nei primi e nei momenti difficili del lavoro collaborativo, l’atmosfera del gruppo può essere densa, questo perché alla base del conflitto c’è un nucleo di emozioni pesanti, un senso di perdita una crisi identitaria. I conflitti rimettono in gioco la rappresentazione che abbiamo di noi e quella che abbiamo degli altri, coinvolgendo anche la nostra identità. Il lavoro sul conflitto e l’ uscita dal conflitto spesso fa nascere aspetti nuovi della nostra personalità.
Come sempre nella vita la perdita se è elaborata, non è mai totale, quando perdiamo una cosa, abbiamo la capacità creativa di trovarne un’altra. Poiché nel conflitto abbiamo paura e ci sentiamo in pericolo le nostre difese si rafforzano ed assumiamo posizioni rigide nel
tentativo di difenderci. E’ necessario trasformare le emozioni prima di iniziare a lavorare per l’accordo e fermarci a esaminare la situazione emotiva e difensiva ogni volta che si ripresentano
situazioni in cui le difese e quindi le posizioni si rafforzano e bloccano la possibilità di arrivare ad un accordo. Questo può succedere anche se siamo vicini a trovare un accordo, perché la paura del cambiamento può essere molto forte.
In questi momenti possiamo trasformare l’atmosfera pesante del gruppo e lavorare sulle posizioni e sull’impasse mediante l’osservazione partecipata anche mediante il rispecchiamento dei partecipanti riassumendo gli argomenti e chiarificandoli. Tutti interventi che sono diretti a smontare le difese da cui nascono le posizioni per poter incontrare di nuovo gli interessi. Questo lavoro spesso non si fa una volta per tutte, ma nel corso del caso si ripresenta la necessità di ritrovare e reintegrare gli interessi che possono anche trasformarsi e modificarsi facendone nascere di nuovi.
Interventi molto importanti in questa area di contenimento e trasformazione delle posizioni e di recupero degli interessi vengono dall’attività del gruppo dalla co-narrazione condivisa che in gruppo ha una forma e caratteristiche particolari.
Il gruppo ha la capacità di sviluppare un pensiero creativo di tipo associativo-analogico, crea pensieri nuovi che non appartengono tanto ai singoli individui, ma al pensiero creativo del gruppo. Nascono così pensieri nuovi che connettono ed integrano gli interessi di tutti nella ricerca di un accordo. Questo accade perché parlare non è solo raccontare, dentro e sotto le
parole ci sono emozioni che vengono elaborate nella co-narrazione del gruppo.
Il gruppo ha pensieri propri che rappresentano un terzo tipo di pensieri rispetto ai pensieri delle parti e dei professionisti.
Un’ altro strumento importante ai fini di reperire un accordo e lavorare con le parti e’ il brainstorming.
Nei casi collaborativi convivono due gruppi: il team dei professionisti e il gruppo allargato. tra questi due gruppi si crea un legame implicito sottile di sintonizzazione e scambio.
Il facilitatore nelle riunioni di briefing e de-briefing tiene conto ed esplicita al team le risonanze tra i due gruppi che spesso permettono di comprendere e superare blocchi comunicativi ed
impasse.
Il lavoro dell’ Esperto dell’età evolutiva nei casi collaborativi
Un elemento importante della Pratica Collaborativa è l’attenzione ai figli coinvolti nelle separazioni e nei divorzi.
I figli, sono soggettivi attivi dei processi familiari di cui sentono e vivono le piu’ lievi sfumature, risuonando in modo diverso a seconda dell’eta’.
Nel lavoro sui figli nel corso del caso si incontrano due tipi di interessi:il primo è l’ interesse dei genitori, che hanno i figli come interesse consapevole e comune e spesso lo portano come interesse primario fin dall’incontro con il facilitatore prima che inizi il caso e nei colloqui con gli avvocati di preparazione al caso.
Il secondo interesse è l’interesse dei figli, che hanno l’interesse principale spesso implicito e non consapevole di portare avanti il proprio compito evolutivo, diventare Sé stessi, un compito che per inciso riguarda tutti noi per tutta la vita a qualunque età.
L’identità non è più considerata un nucleo stabile che esiste fin dalla nascita. oggi l’area identitaria è considerata una configurazione di elementi ed aspetti potenziali che aspettano di
esprimersi, alcuni rimarranno inespressi, maggiore è la varietà di aspetti interni che prendono forma più alta è la soddisfazione personale.
L’interesse profondo dei minori è questo non è relativo ad attività meramente quotidiane, riconoscere il processo evolutivo come un interesse profondo dei figli permette ai genitori di comprendere meglio alcuni aspetti dei figli, e di connettersi con loro evitando di imporre aspettative a-priori che vengono vissute come posizioni e a volte creano un blocco comunicativo e relazionale tra genitori e figli. il facilitatore se ha competenze nell’età evolutiva attraverso le
descrizioni fatte dai genitori al tavolo sostiene e aiuta la sintonizzazione genitori figli. Cerca di integrare gli interessi che i genitori hanno per i figli con gli interessi evolutivi dei minori.
Quando ci sono difficoltà nelle relazioni genitori e figli spesso le aree di criticità sono proprio un’incomprensione dei rispettivi interessi: quelli dei genitori che hanno a cuore i figli, ma
inconsapevolmente si creano rappresentazioni che non soddisfano il compito evolutivo del minore, i figli a loro volta hanno come interessi una spinta interna verso la differenziazione e a volte dimenticano il legame affettivo con i genitori. Entrambi questi interessi devono essere integrati ed connessi insieme.
In queste situazioni è possibile che il figlio sia ascoltato da un esperto dell’età evolutiva. il figlio può essere ascoltato da solo o insieme ai genitori a seconda delle necessità riconosciute dal team e dalle parti.
L’esperto dell’età evolutiva ascolta il figli per aiutarli a sviluppare una rappresentazione di quello che succede con la separazione e una raffigurazione del futuro della sua famiglia e
può rispondere a domande dei figli. Rappresenta un intervento preventivo sui minori per sciogliere fraintendimenti e difficoltà comunicative in un momento in cui i genitori vivono un momento complesso permette di comprendere gli interessi evolutivi del minore.
L’esperto dell’età evolutiva collabora con il team per individuare un piano genitoriale adeguato al figlio.
Formazione
Tutto il lavoro del facilitatore e dell’esperto dell’età evolutiva è possibile solo se lavora in team di professionisti formati alla pratica collaborativa.
Il lavoro in gruppo nei casi collaborativi è un momento di alta formazione per tutti i professionisti poiché osservare ascoltare e fare esperienza di interventi dei colleghi collaborativi permette di acquisire competenze e conoscenze del lavoro dell’altro professionista che va ad integrare il proprio lavoro.
Ringrazio l’ Associazione e gli organizzatori per la bella esperienza del convegno e il Practice Toscano con cui ho lavorato in questi anni collaborando ai casi collaborativi e alla ricerca nell’ambito della Pratica collaborativa.