VIAGGIO ALL’INTERNO DELLA NEGOZIAZIONE
in tre tappe, Firenze, Venezia, Torino e una destinazione, Milano
Conclusioni torinesi per Milano 1° dicembre 2023
PAROLA CHIAVE: COLLABORAZIONE, COME PRESUPPOSTO DELLA SOSTENIBILITÀ
Gli interventi ed i dibattiti svoltisi nella tappa torinese hanno preso le mosse dal tema – oggetto di una letteratura pressoché sconfinata – dell’organizzazione, che è diventato oggi l’elemento centrale della nuova cultura d’impresa ed il fondamento della disciplina in tema di obblighi e responsabilità di chi l’impresa (individuale o collettiva) la gestisce o la controlla.
Ma cos’è l’organizzazione dell’impresa e a cosa mira?
Se ci poniamo questa domanda e la caliamo nel contesto normativo che ci è famigliare, abbiamo subito la percezione di un sistema (di norme) che non riesce a stare al passo con un mondo che è cambiato e continuerà a cambiare in modo sempre più vertiginoso.
Nel nostro codice civile, l’Imprenditore è colui che “esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi” (Art. 2082 c.c.). L’azienda, a sua volta, è il “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555, c.c.). Quando l’impresa è condotta in forma societaria, gli imprenditori “conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili (art. 2247 c.c.). E l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, “ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale …”.
Ma oggi sappiamo che l’impresa non è soltanto un’organizzazione di mezzi (beni e servizi), ma è anche e soprattutto un’organizzazione di persone; così come sappiamo che il perseguimento di una pura logica di profitto (insensibile alle esigenze di tutti i portatori di interessi sui quali si riverberano gli effetti dell’attività delle imprese) può essere la causa di sconvolgimenti (economici, sociali, ambientali) che impattano sulla vita di intere comunità.
La constatazione, su cui poggiano le riflessioni e le esperienze portate dai vari relatori e discusse ai tavoli di lavoro, è che il tema dell’adeguatezza degli assetti organizzativi va inquadrato in un più ampio contesto (culturale, sociale ed economico), in cui gli obblighi di organizzazione devono essere oggi finalizzati non più solo (e non tanto) alla generazione di profitto, ma alla conservazione (nell’interesse di tutti gli stakeholder), del valore sociale e occupazionale dell’impresa, intesa soprattutto come organizzazione di persone, attraverso l’adozione di tutti gli strumenti necessari per gestire tutti i rischi cui l’impresa è per sua natura soggetta, garantire la continuità aziendale e perseguire un successo sostenibile.
Questo nuovo contesto normativo, culturale, sociale ed economico, è il frutto di tre, fondamentali, fattori di cambiamento che hanno portato alla consapevolezza che, in una prospettiva di lungo periodo, gli interessi di stakeholder e shareholder coincidono: l’azionista che abbia a cuore lo sviluppo sostenibile nel lungo periodo della propria azienda, deve comprendere che è solo con la soddisfazione degli interessi degli altri stakeholder, con una visione di benessere condiviso e di lunga durata, che può tutelare anche il proprio interesse economico, attraverso la creazione e l’accrescimento progressivo del valore dell’azienda e la generazione di un reddito durevole.
Il primo fattore di cambiamento, posto in evidenza da Paolo Vernero, è quello che ha spostato l’attenzione dal perseguimento – attraverso una pura logica di profitto – dello “shareholder value”, alla salvaguardia e tutela dello “stakeholder value”. Ciò è avvenuto dapprima mediante la creazione (in Italia con l’emanazione del Dlgs. 231/2001), di sistemi sanzionatori che potessero scoraggiare e punire gli illeciti societari, sanzionando non solo i soggetti dotati di poteri gestori, ma la società stessa, colpendone il patrimonio; quindi con l’introduzione delle varie disposizioni (culminate, in Italia, nel nuovo art. 2086 c.c.), che hanno imposto alle imprese l’obbligo di istituire un adeguato sistema di controllo di gestione, proporzionato alle dimensioni dell’azienda, volto a rilevare, monitorare, gestire e affrontare i rischi a cui l’azienda è esposta; infine con l’emanazione (a livello internazionale, europeo e dei singoli stati membri) delle varie norme volte a promuovere il passaggio ad economie improntate al perseguimento della sostenibilità, lungo i suoi tre pilastri rappresentati dall’acronimo ESG (Environmental, Social, Governance), come obiettivo da raggiungere da parte di tutte le organizzazioni e le imprese (in coerenza con gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU).
Il secondo fattore di cambiamento è quello che ha influenzato la concezione (e, correlativamente, la disciplina) del modello organizzativo delle società di capitali, promuovendo il passaggio dalla vecchia visione competitiva e avversariale del modello societario, ad una nuova visione collaborativa, in cui tutti gli attori (azionisti, manager e anche gli stakeholder) collaborano per il raggiungimento di obiettivi e interessi comuni (vanno in questa direzione le leggi (il Dlgs. n. 58/1998 -TUF, per le società che accedono al mercato del capitale di rischio, e poi il Dlgs. 5/2003, di riforma del diritto societario) nonché le norme di “soft law” (quali i G20/OECD Principles of Corporate Governance , il Codice di Corporate Governance per le società quotate, il Regolamento CONSOB sulle operazioni con parte correlate , le Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate, emanate dal CNDCEC, che hanno sancito i principi cardine su cui costruire un modello di governance collaborativo/integrativo, volto a garantire la cooperazione e lo scambio di informazioni tra tutti i soggetti investiti di funzioni manageriali, attraverso la creazione di idonei flussi informativi, la trasparenza, l’attuazione dei presidi necessari per far emergere e gestire i conflitti di interessi e per improntare la gestione al perseguimento di un successo sostenibile).
Il terzo fattore di cambiamento, messo in luce da Angelo Monoriti nella sua relazione, è il processo (ormai arrivato al traguardo) che ha portato al passaggio dal vecchio sistema di “ordine imposto” ad un nuovo sistema di “ordine negoziato”).
Questo passaggio (segnato dal sempre più ampio e articolato ricorso a rimedi non giurisdizionali di risoluzione delle controversie, quali la mediazione e la negoziazione assistita), è culminato con l’introduzione nel nostro ordinamento della composizione negoziata della crisi d’impresa (disciplinata al CAPO I del Dlgs 14/2019 – CCII): strumento cui il legislatore affida un ruolo assolutamente centrale e preminente ai fini del superamento del rischio di crisi mediante il risanamento dell’azienda, preservando il valore dell’impresa come going concern.
Lo studio di questi tre fattori di cambiamento ci ha portati ad individuare nella “collaborazione” la prima parola chiave che vorremmo portare a questa tappa milanese.
La “collaborazione” è infatti il principio fondante (di rango costituzionale e comunitario, in quanto derivante dagli obblighi di solidarietà sanciti all’art. 2 della Costituzione e dall’art. 2 del trattato UE) del nuovo modo di fare impresa; e la “negoziazione collaborativa” si presenta come lo strumento oggi più efficace per salvaguardare la continuità e la sostenibilità dell’impresa adottando le misure più idonee per costruire rapporti stabili e duraturi nel tempo, per gestire i rischi, prevenire e superare i conflitti (e le crisi) e perseguire i nuovi, sfidanti obiettivi della sostenibilità (ESG), al fine di salvaguardare e accrescere il valore (sociale, occupazionale, erariale ed economico) dell’impresa, nell’interesse comune dell’imprenditore e di tutti gli stakeholder.
Oltre ad essere uno strumento fondamentale nella gestione del rischio di crisi, la negoziazione collaborativa si configura come lo strumento più efficace sia per gestire i rischi di mercato (mediante la riconduzione ad equità dei contratti d’impresa sbilanciati dagli shock economici cui l’economia è sempre più di frequente soggetta); sia per prevenire e gestire i rischi di contratto (negoziando e costruendo contratti “collaborativi” stabili e duraturi nel tempo, a tutela della continuità aziendale).
Il confronto avvenuto ai vari tavoli di lavoro ha poi consentito di concludere che il metodo della pratica collaborativa, abbinato all’istituto della negoziazione assistita (disciplinata dal D.L. 132/2014, convertito con L. 162/2014), si presenta oggi come la formula sicuramente più sofisticata ed efficace per la gestione di una negoziazione finalizzata al superamento del conflitto in tutti quei casi in cui è predominante l’interesse comune alla ricostruzione dei rapporti tra le parti ed alla tutela dei valori economici, e non solo, in gioco.
Per queste ragioni, i vari modelli di clausole di “negoziazione assistita secondo i principi della pratica collaborativa”, elaborati da gruppi di lavoro interdisciplinari composti da esponenti delle professioni maggiormente coinvolte nella gestione dei conflitti, hanno iniziato ad essere inclusi nella prassi redazionale dei contratti di durata e, più in generale, di tutti quei contratti in cui è preminente l’interesse della parti a conservare il rapporto, la relazione tra loro esistente e tutelare l’investimento comune.
Lo strumento della pratica collaborativa ben risponde alle esigenze ed alle finalità di una governance attenta alla gestione dei rischi di conflitto, e ben può essere impiegato per prevenire e gestire i rischi di governance e la conflittualità endosocietaria (adottando le più opportune clausole statutarie e parasociali e gestendo in modo collaborativo nella dialettica degli organi collegiali).
La clausola tipo di “negoziazione assistita secondo i principi della pratica collaborativa” è stata infatti già recepita, in statuti di start up, di società benefit e anche di società a partecipazione mista (pubblico privata) per la gestione di servizi pubblici locali, in cui assume rilevanza assolutamente centrale l’esigenza di gestire nell’interesse preminente degli stakeholder i rischi nascenti da eventuali divergenze o conflitti tra i diversi gruppi di soci e tra gli amministratori che ne sono espressione.
Tuttavia le clausole statutarie, i contratti, i sistemi di controllo, le procedure, sono strumenti utili ma spesso inefficaci se non sono accompagnati da un radicale cambiamento di paradigma da parte di tutti i soggetti coinvolti (manager, funzioni aziendali, professionisti, ed anche stakeholder).
Questo cambiamento richiede, da un lato, l’acquisizione della consapevolezza che la collaborazione aumenta il valore dell’impresa; d’altro lato richiede l’abbandono dell’approccio avversariale alla negoziazione e la condivisione dei principi della negoziazione collaborativa, o integrativa, basata sul perseguimento degli interessi e non sul mantenimento delle posizioni.
Spetta infatti ai professionisti che operano a fianco delle imprese il compito di raccogliere la sfida che è stata loro lanciata e trasformarla in un’opportunità con cui creare sinergie e sviluppare nuove competenze, riaffermando il ruolo sociale delle nostre professioni nel fronteggiare l’uscita dalla crisi e perseguire gli obiettivi di solidarietà, tutela dell’ambiente e della qualità della vita previsti dall’agenda ONU e dallo European green deal.
PAROLA CHIAVE: RETE – SPIRITO DI SQUADRA
Nella presentazione del ciclo di convegni “Viaggio all’interno della negoziazione” che si conclude con la tappa milanese abbiamo citato un proverbio africano che recita più o meno così: “da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano”.
E allora, sia nell’ambito della gestione del conflitto che nella fase precedente di prevenzione, per andare lontano insieme abbiamo capito che ci occorre un mezzo, una modalità di lavoro che consenta di coniugare le diverse prospettive soggettive e i diversi saperi professionali.
Questo mezzo noi lo abbiamo individuato attraverso le parole chiave RETE e SQUADRA.
Ma cosa sono una rete e una squadra? E come stanno in relazione tra di loro?
Quando le persone parlano tra di loro, si scambiano idee, propositi, imparano a conoscersi, creano una relazione di fiducia: queste relazioni costituiscono la RETE.
Quando le persone decidono di cooperare per il raggiungimento di uno scopo comune formano una SQUADRA.
La rete è il terreno fertile da cui trarre le risorse per costruire la squadra, è il luogo da cui attingere persone di cui si conoscono le competenze tecniche e con le quali si è già instaurata una relazione di fiducia.
Durante la tappa torinese sono emersi più volte rimandi alla biologia degli esseri viventi e al suo funzionamento come anche ad altri ecosistemi naturali, come la foresta, in quanto sistemi cooperativi.
La caratteristica dei sistemi cooperativi ben funzionanti è quella di far convergere gli elementi che li compongono, che hanno ognuno la propria specializzazione, verso uno scopo comune attraverso una comunicazione efficace.
Il nostro corpo è una rappresentazione di questi sistemi cooperativi che, con i suoi vari organi, ognuno con la sua specializzazione, dialogando in modo efficace perseguono l’obiettivo di mantenerci in salute.
Queste caratteristiche le ritroviamo anche nella squadra dei professionisti che lavorano con il metodo della Pratica Collaborativa. La squadra di professionisti collaborativi è interdisciplinare, in quanto composta da professionisti con formazioni e competenze tecniche diverse (avvocati, commercialisti, facilitatori della comunicazione), e condivide un linguaggio comune, appreso grazie alla formazione condivisa, che rende efficace ed efficiente la comunicazione. Nel momento in cui si compone il tavolo collaborativo la squadra dei professionisti si allarga per includere le parti nella gestione della negoziazione.
Nel progettare questo “Viaggio all’interno della negoziazione” ci eravamo posti la domanda se alla fine del viaggio alcuni dei principi utilizzati nella Pratica Collaborativa avrebbero potuto essere utili per valorizzare e rendere ancora più efficaci anche gli altri contesti di negoziazione tesi alla risoluzione di conflitti.
Ebbene, possiamo dire che soprattutto, ma non solo, nella composizione negoziata della crisi d’impresa la costruzione di una squadra caratterizzata dagli elementi appena richiamati parlando del team collaborativo costituisce un elemento fondamentale e innovativo nel metodo di lavoro da utilizzare per raggiungere gli obiettivi auspicati dal legislatore.
L’approccio alla composizione negoziata della crisi d’impresa richiede un confronto con una realtà complessa, come del resto complesse sono tutte le realtà in conflitto. E’ un processo in cui è necessario coinvolgere professionalità provenienti da ambiti specialistici diversi (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro) con una solida conoscenza tecnica nel loro ambito specifico unita ad una formazione nelle tecniche di negoziazione; a questa necessità si intreccia quella di saper gestire gli aspetti emotivi e di comunicazione tra interlocutori provenienti da culture profondamente diverse (l’imprenditore, i dipendenti, il sistema creditizio per citarne solo alcuni).
In questo l’esperienza di lavoro con il metodo della squadra collaborativa può rivelarsi davvero utile.
Tornando all’inizio, al proverbio africano da cui siamo partiti, abbiamo realizzato, grazie agli interventi dei relatori che si sono avvicendati in questo viaggio, che davvero insieme si va più lontano, anzi potremmo dire che ci sono mete che si possono raggiungere solo in (buona) compagnia.
Ma è vero anche che da soli si va più veloci?
Durante il cammino sono emersi diversi elementi che potrebbero portare ad una conclusione diversa.
Avere a disposizione al tavolo negoziale tutte le competenze specialistiche che occorrono, che sanno come dialogare tra di loro e con le parti, e poterle attingere da una rete di relazioni basate sulla fiducia potrebbe rendere il viaggio in compagnia veloce tanto quanto il viaggio in solitaria, se non di più.
PAROLA CHIAVE: FORMAZIONE
FORMAZIONE: è curioso come la parola abbia più significati, taluni molto diversi, a seconda del contesto in cui è utilizzata.
La formazione è la disposizione degli uomini in vista di una battaglia o in una competizione sportiva (prima di una partita vengono date le formazioni), ma può essere anche l’acquisizione di una determinata differente consistenza (ad esempio la formazione del calcare).
Il passaggio dal primo significato al secondo è emblematico del percorso torinese.
A più riprese, in ogni tappa, abbiamo parlato di come si possa imparare a non disporsi in un certo modo, quello della battaglia, ma in un modo nuovo, acquisendo una nuova consistenza attraverso la conoscenza.
Formazione è quindi un processo di acquisizione di conoscenze e competenze nel campo non di battaglia, ma della negoziazione.
Ed è così che si passa dall’antagonismo, dalla contrapposizione alla ricerca dell’apprendimento.
Attraverso la formazione si può negoziare non per vincere, ma per apprendere quanto più posso su di me e sull’altra parte.
Attraverso la pratica collaborativa l’interesse di tutti i soggetti in gioco diventa centrale; il gruppo o squadra di lavoro avendo chiaro il ruolo e rispettando il mandato assegnato a ciascuno, apprende gli interessi di tutti, anche quelli contrapposti, per giungere a trovare con il brainstorming tante soluzioni, alternative, opzioni.
Questa pratica di apprendimento com’è emerso con chiarezza nella tappa torinese, non è più relegata al diritto di famiglia, ma è ormai applicabile a tutti gli ambiti della vita.
Dalla crisi di impresa, come poco ora ricordato da Alessandro, alla contrattazione di lavoro, all’ambito dell’urbanistica, agli appalti, alla costituzione di società, la relazione, la collaborazione, la condivisione consentono di raggiungere risultati sostenibili (come ricordato da Alessandro), ma soprattutto duraturi, perché prevengono il conflitto ed aiutano le persone a collaborare e fare squadra e rete, come spiegato da Annamaria.
La tappa torinese ha poi guardato al futuro e fatto un passo ulteriore mettendo insieme tutte e tre le parole chiave. Si sono poste le basi per un progetto formativo di rete volto alla collaborazione sostenibile, cioè un percorso formativo per tutti i professionisti, per imparare insieme a negoziare con le basi della pratica collaborativa.
In uno con un progetto per i giovani di tutoraggio e formazione, così che essi abbiano in quanto negoziatori di domani le conoscenze che già oggi in talune facoltà sono insegnate.
Affinché attraverso la negoziazione collaborativa volta all’apprendimento si possa passare da un’umana esistenza ad un’esistenza umana, come ci ha ricordato il Collega Monoriti.
A cura di Avv. Alessandro Baudino, Dr.ssa Anna Maria Riva, Avv. Patrizia Romagnolo