La sfida della sostenibilità: una “chiamata” europea per i Professionisti Collaborativi al fianco delle imprese
In un recente articolo1 avevamo evidenziato come la Pratica Collaborativa, e più in generale i principi della negoziazione collaborativa, costituiscano strumenti indispensabili per superare la fragilità di questi drammatici tempi di crisi e come i Professionisti Collaborativi possano svolgere un ruolo centrale a fianco delle imprese, trasformando il conflitto in risorsa e motore di responsabilizzazione individuale e collettiva verso il perseguimento di un progresso sostenibile2.
Non si può tuttavia operare secondo una logica di negoziazione collaborativa senza dotarsi delle necessarie competenze: la gestione del conflitto coinvolge infatti più figure professionali che devono potersi confrontare e collaborare per raggiungere una soluzione condivisa e, per far questo, occorre che tutti i professionisti seduti al tavolo della negoziazione condividano la stessa filosofia e parlino lo stesso linguaggio.
Proprio per questa ragione – come avevamo ricordato in quell’articolo – AIADC, Associazione Italiana Professionisti Collaborativi, si è fatta promotrice di una proposta – rivolta a rappresentanti del mondo accademico, istituzionale e professionale – volta a raccogliere consensi sulla necessità di garantire, fin dalla formazione universitaria e lungo tutto il successivo percorso professionale, una formazione specifica sulle tecniche della negoziazione ed in particolare sulla negoziazione integrativa basata sugli interessi, a tutti i professionisti che, a vario titolo, si occupano della gestione dei conflitti e della costruzione, attraverso la negoziazione collaborativa, delle condizioni necessarie al perseguimento di obiettivi di sostenibilità.
L’articolo si concludeva con l’auspicio che si potessero così colmare le lacune del passato e recuperare rapidamente il tempo perduto per trasformare la sfida della sostenibilità in un’opportunità ed affermare con forza la funzione sociale dei professionisti e il loro fondamentale ruolo al servizio della comunità per il superamento delle crisi e il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda ONU 2030.
Questo auspicio è stato raccolto e realizzato in Spagna, dove la comunità collaborativa ha saputo diffondere e valorizzare il proprio messaggio, lavorando a fianco delle istituzioni e trovando terreno fertile in un contesto – anche professionale – aperto, pragmatico e più propenso al cambiamento.
Dalla Spagna un esempio virtuoso: la “Ley Orgánica 1/2025, de 2 de enero, de medidas en materia de eficiencia del Servicio Público de Justicia“
Il 2025 ha consegnato ai Professionisti Collaborativi Spagnoli un riconoscimento importante per il gran lavoro svolto ai fini dell’affermazione della Pratica Collaborativa nel percorso di evoluzione (per non dire rivoluzione) dal tradizionale sistema di “ordine imposto” ad un nuovo sistema di “ordine negoziato”3: e cioè un sistema incentrato sul sempre più ampio e articolato ricorso alla cosiddetta “giustizia consensuale”, in cui la Pratica Collaborativa è diventata a pieno titolo uno strumento centrale per il superamento dei conflitti mediante il raggiungimento di accordi stabili, duraturi e condivisi.
Questo fondamentale traguardo è stato raggiunto in Spagna con “Legge organica 1/2025, in data 2 gennaio 2025, recante le misure di efficientamento del servizio della Giustizia Pubblica” (di seguito: “L. 1/2025”), che ha riconosciuto alla Pratica Collaborativa dignità di legge [NDR: il titolo della Legge ed i passi di seguito riportati sono stati tradotti liberamente dallo Spagnolo per comodità di lettura].
L’ampia Relazione Illustrativa alla L. 1/2025 sottolinea che, fermo restando che il potere giurisdizionale appartiene esclusivamente ai tribunali, la giustizia non è solo “l’amministrazione della giustizia contenziosa“. Si tratta di un “intero sistema che si inquadra nel movimento di quella che la filosofia del diritto chiama «giustizia deliberativa», che non è monopolio degli organi giudiziari o della professione forense, ma appartiene all’intera società civile”.
In questa prospettiva – prosegue la Relazione – il servizio pubblico della giustizia deve essere in grado di offrire ai cittadini la modalità più adeguata per gestire i loro problemi. In alcuni casi, questa sarà la via esclusivamente giudiziale, ma in molti altri casi sarà la via consensuale a offrire la soluzione migliore.
La scelta dei mezzi più adeguati per la risoluzione delle controversie garantisce qualità alla giustizia e soddisfazione ai cittadini. In questo contesto “diventano importanti le ragioni delle parti per costruire soluzioni di dialogo in spazi condivisi”.
Muovendo da queste premesse, la relazione illustrativa sancisce alcuni, fondamentali principi, successivamente sviluppati e disciplinati nel testo di legge.
Il primo principio, è che “occorre recuperare la capacità negoziale delle parti”, con l’introduzione di meccanismi che mettano le parti al centro e “rompano le dinamiche di confronto e tensione che pervadono le relazioni sociali nel nostro tempo”. Per raggiungere questo obiettivo è necessario introdurre misure efficaci che non si degradino né si trasformino in meri adempimenti burocratici.
Il secondo principio è la conferma del ruolo centrale affidato alle Associazioni Professionali, che svolgono una preziosa “funzione di servizio ai cittadini, ospitando al loro interno meccanismi di risoluzione delle controversie, promuovendo e facilitando il dialogo sociale e, allo stesso tempo, rafforzando l’importante ruolo che svolgono in una società democratica avanzata”.
Il terzo principio è il riconoscimento della «Pratica Collaborativa» come strumento centrale ai fini del superamento dei conflitti: strumento che viene equiparato agli altri rimedi non giurisdizionali già previsti dall’ordinamento, cui le parti devono – in alcune materie – necessariamente ricorrere prima dell’instaurazione di un eventuale contenzioso.
I principi suesposti sono sviluppati e disciplinati al capitolo I del Titolo II della L. 1/2025, sotto la rubrica “Mezzi adeguati di risoluzione delle controversie non giurisdizionali”.
L’articolo 5 introduce una condizione di procedibilità in alcune materie attinenti a diritti disponibili, stabilendo al primo comma che “nell’ordinamento giurisdizionale civile, in generale, affinché la domanda sia ammissibile, sarà considerato requisito di procedibilità il previo ricorso ad alcuni idonei mezzi di risoluzione delle controversie”. Questo requisito “si riterrà soddisfatto quando l’attività negoziale è svolta direttamente dalle parti, ovvero tra i loro legali secondo le loro linee guida e con il loro accordo, nonché nei casi in cui le parti hanno fatto ricorso ad un procedimento di diritto collaborativo”.
Il successivo Articolo 19, sotto la rubrica “Procedura di Diritto Collaborativo”, attribuisce valenza giuridica a questo strumento, delineandone le caratteristiche essenziali.
Il comma 1 stabilisce che le parti “possono ricorrere ad un procedimento di diritto collaborativo, nel quale, accompagnate e assistite ciascuna di esse da uno o più avvocati accreditati in diritto collaborativo, e con l’intervento, se del caso, di terzi neutrali, esperti nelle diverse materie oggetto della controversia o facilitatori della comunicazione, cercheranno una soluzione consensuale, in tutto o in parte, della controversia stessa”.
Il comma 2 stabilisce che “I principi fondamentali del procedimento collaborativo sono: buona fede, negoziazione sugli interessi, trasparenza, riservatezza, lavoro di squadra tra le parti, i loro avvocati ed esperti terzi neutrali che potrebbero, se del caso, partecipare, nonché la rinuncia ad adire i tribunali da parte degli avvocati intervenuti nel procedimento collaborativo, qualora non si raggiunga una soluzione, totale o parziale, della controversia”.
Il comma 3 prevede che, all’esito del procedimento collaborativo, i legali che vi hanno partecipato redigeranno un verbale finale che darà conto delle parti che hanno partecipato, i professionisti coinvolti, delle sessioni svolte, nonché degli accordi adottati e delle questioni sulle quali non è stato possibile raggiungere un accordo tra le parti.
Formazione e mandato limitato: due carte vincenti del metodo collaborativo
L’articolo 19 della L. 1/2025 in precedenza richiamato, pone l’accento su due requisiti fondamentali, posti a garanzia del buon esito della negoziazione4, che caratterizzano lo strumento della pratica collaborativa (arricchendolo e differenziandolo, nel contesto normativo italiano, dalla negoziazione assistita).
Si tratta, in particolare:
- dell’obbligo di formazione specifica nelle tecniche della negoziazione collaborativa richiesto ai professionisti che partecipano al tavolo collaborativo (a norma dell’art. 19 della l. 1/2025, le parti devono essere assistite da “avvocati accreditati in diritto collaborativo”);
- del mandato limitato: il mandato affidato ai professionisti che siedono al tavolo collaborativo è, infatti, limitato alla sola fase della negoziazione, sino al raggiungimento dell’accordo, e comporta l’impegno dei professionisti ad astenersi dal tutelare le parti in qualsiasi procedimento che, in caso di insuccesso della negoziazione, le parti dovessero promuovere con riferimento alle stesse questioni oggetto di controversia (sempre a norma dell’art. 19 della l. 1/2025, tra i “principi fondamentali del procedimento collaborativo” è espressamente menzionata “la rinuncia ad adire i tribunali da parte degli avvocati intervenuti nel procedimento collaborativo, qualora non si raggiunga una soluzione, totale o parziale, della controversia”).
Ai Professionisti Collaborativi Spagnoli deve essere dunque riconosciuto il merito di aver contribuito a realizzare quel cambiamento culturale necessario per abbandonare l’impostazione tradizionale, fondata sulla contrapposizione e la competizione ed abbracciare la logica della negoziazione collaborativa, in cui le parti ed i loro professionisti si impegnano a cooperare per comporre il conflitto ricercando una soluzione condivisa.
Formazione specifica e mandato limitato sono infatti le carte vincenti del metodo collaborativo, ma costituiscono anche le condizioni più difficili da far accettare in molti sistemi giuridici – quale quello italiano – in cui le professioni liberali sono poco permeabili al cambiamento e spesso propense a tutelare prerogative acquisite.
Per quanto attiene alla competenza specifica del professionista negoziatore, in Italia l’interesse per le dinamiche che scatenano il conflitto e per le tecniche che mirano a comporlo è relativamente recente e lo studio di queste tecniche non ha avuto lo sviluppo che si riscontra invece in altri paesi (ed in particolare in quelli che più hanno risentito dell’approccio pragmatico tipico dei sistemi di “common law”). Con poche, isolate eccezioni, i percorsi di formazione sulle procedure ADR offerti ai professionisti si focalizzano sulla disciplina giuridica dei vari strumenti messi a disposizione dal legislatore (la disciplina della mediazione commerciale, della mediazione famigliare, della negoziazione assistita, della composizione negoziata della crisi, etc.): si concentrano cioè sul quadro normativo di riferimento (dove si negozia), mentre trascurano il metodo (come si negozia) e cioè le tecniche di negoziazione impiegate per raggiungere un accordo condiviso. Esiste inoltra molta resistenza al cambiamento anche da parte delle imprese, soprattutto quelle Medie e Piccole (che costituiscono il fulcro dell’economia nazionale), sebbene la negoziazione collaborativa sia oggi lo strumento fondamentale per costruire una nuova cultura d’impresa ispirata al perseguimento degli obiettivi della solidarietà e della sostenibilità imposti a livello nazionale, comunitario e globale. E sono poche le associazioni di imprenditori che offrono ai loro soci percorsi di formazione volti a diffondere la cultura della governance collaborativa, che si fonda sulla condivisione, sull’ascolto e sul lavoro di squadra per interloquire con i vari portatori di interessi.
Ancora più difficile è superare lo scoglio del mandato limitato.
Ed infatti, gli studi organizzati, in cui è netta la separazione di ruoli e competenze tra gli avvocati che si occupano della consulenza stragiudiziale e quelli che seguono il contenzioso, sono restii a promuovere il metodo collaborativo e creare al loro interno dipartimenti o gruppi di lavoro di avvocati formati alla pratica collaborativa. L’assunzione, da parte di un avvocato del “team collaborativo”, di incarichi di negoziazione per conto di un cliente, precluderebbe infatti allo studio la possibilità di assistere il cliente in un’eventuale fase contenziosa successiva (posto che il vincolo del mandato limitato non può essere eluso investendo della difesa altri legali appartenenti allo stesso studio).
Gli studi che prestano assistenza nel cosiddetto settore “corporate” sono, inoltre, restii ad indirizzare il cliente a legali specificamente formati alla pratica collaborativa ma esterni allo studio, poiché questa opzione potrebbe allentare il rapporto fiduciario con il cliente, mettendolo in contatto con potenziali “competitor” (con il rischio che il cliente si rivolga poi successivamente in modo continuativo ai nuovi professionisti incaricati della negoziazione).
Esistono tuttavia ragioni pregnanti, non solo di opportunità ma anche giuridiche, per vincere le resistenze che ancora esistono nel nostro Paese e fare anche da noi quel “salto di qualità” che è necessario affinché la Pratica Collaborativa possa assumere il ruolo centrale che in Spagna le è stato riconosciuto per legge.
Alcune buone ragioni per un salto di qualità
Gli obblighi di formazione e competenza del professionista negoziatore
Il Legislatore italiano non ha previsto alcun requisito di formazione specifica a carico dei professionisti che assistono le parti in una procedura di negoziazione.
Tuttavia, è incontestabile che ai professionisti che si propongono di assistere le parti in una procedura di negoziazione sono richieste una preparazione ed una competenza specifica in un settore di attività totalmente diverso da quello contenzioso.
Sotto il profilo giuridico, l’acquisizione di questa competenza è necessaria per adempiere correttamente all’obbligazione di diligenza prevista in via generale dall’art. 1176 c.c. a carico dei prestatori d’opera professionale. Il dovere di competenza è poi richiesto dai codici deontologici delle singole professioni, che hanno introdotto regole di comportamento destinate ad integrare il contenuto dell’obbligazione generica della diligenza professionale.
La competenza del professionista “negoziatore” ha ricevuto inoltre recentemente un preciso riconoscimento anche in sede di giurisprudenza di legittimità. La Cassazione, con la sentenza n. 8473/2019, ha infatti stabilito che il D. Lgs. n. 28 del 2010, istitutivo della mediazione, “con l’affiancare all’avvocato esperto in tecniche processuali che “rappresenta” la parte nel processo, l’avvocato esperto in tecniche negoziali che “assiste” la parte nella procedura di mediazione, segna anche la progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l’acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate”.
La sentenza, riconoscendo alle “tecniche negoziali” un preciso rilievo giuridico, sancisce un principio che, seppur enunciato con riferimento alla figura dell’avvocato, è sicuramente applicabile a ogni professionista che si proponga nella veste di “negoziatore”.
Alla luce di queste considerazioni, sembra corretto concludere che gli obblighi di formazione richiesti dal metodo collaborativo ai “professionisti Collaborativi” si pongono nella stessa direzione delle norme sopra richiamate e contribuiscono a rafforzare la tutela delle parti, garantendo che gli interessi delle stesse siano tutelati e salvaguardati da professionisti che condividano i valori sottesi al metodo collaborativo e siano in grado di applicare tecniche di negoziazione idonee per conseguire gli obiettivi prefissati attraverso una ricerca condivisa degli interessi comuni ed il raggiungimento di un accordo volto a tutelarli nel modo più equo.
Il mandato limitato
Considerazioni analoghe a quelle sopra svolte si impongono anche con riferimento al requisito del mandato limitato.
Gli obblighi di buona fede, trasparenza, collaborazione e riservatezza che caratterizzano la pratica collaborativa, hanno, come logica conseguenza, l’accettazione – da parte dei professionisti e dei loroclienti – di un mandato limitato alla sola fase della negoziazione, sino al raggiungimento dell’accordo, con l’impegno dei professionisti ad astenersi dal tutelare le parti in qualsiasi procedimento che, in caso di insuccesso della negoziazione, le parti dovessero promuovere con riferimento alle stesse questioni oggetto di controversia.
Un argomento forte in questa direzione si rinviene nelle disposizioni dettate dal D.L. 132/2014, che ha introdotto lo strumento della negoziazione assistita.
Un’analisi attenta delle disposizioni dettate dal D.L. 132/2014 che ha introdotto lo strumento della negoziazione assistita induce infatti a ritenere che il divieto dei legali delle parti di rappresentare e difendere le stesse in qualunque giudizio che in futuro le veda contrapposte (divieto che costituisce uno dei presupposti centrali della pratica collaborativa), costituisca una conseguenza logica (anche se non espressa), per non dire necessaria, della sottoscrizione dell’accordo di collaborazione (o di negoziazione assistita).
Ed infatti, se si considera che i legali che assistono le parti nella negoziazione (collaborativa o assistita) hanno accesso ad informazioni riservate relative non solo alla singola controversia oggetto di trattativa, ma alla situazione e condizione complessiva delle parti ed ai loro rapporti e sono per ciò tenute ad un rigoroso e stringente obbligo di riservatezza, sembra corretto concludere che ai legali delle parti competa anche l’obbligo di astenersi dal tutelare le stesse parti nel giudizio che, in caso di fallimento della negoziazione, verta sulle stesse questioni controverse che ne hanno formato oggetto, od in altri giudizi che le vedano contrapposte.
È, questo, un tema spinoso (ed invero non ancora adeguatamente esplorato dai commentatori), la cui diffusione si scontra con una visione ancora spesso schierata sulla difesa ad oltranza di tesi e prerogative che non sono oggi più compatibili con il nuovo ruolo sociale che l’avvocato è chiamato a svolgere, e che trova oggi invece riconoscimento nelle varie disposizioni che valorizzano il contributo professionale che l’avvocato può dare all’amministrazione della giustizia prima e fuori del processo, cooperando in modo costruttivo alla composizione dei conflitti.
Eppure, il divieto dei legali coinvolti nella negoziazione di assistere le stesse parti in un giudizio che le veda contrapposte appare ancor più evidente se si pone attenzione ad uno dei passi centrali (anche se non adeguatamente messo in luce dai commentatori) delle scarne disposizioni che disciplinano la negoziazione assistita: e cioè il passo dell’art. 2 del D.L. 132/2014, in cui la convenzione di negoziazione assistita viene espressamente qualificata come un accordo di cooperazione, ovvero “un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia”.
Orbene, è pur vero che gli avvocati che assistono le parti nella negoziazione ricevono in genere mandati distinti, conferiti separatamente dai rispettivi clienti, ma è altrettanto vero che i mandati hanno per oggetto proprio la cooperazione per il raggiungimento di un fine comune ad entrambe le parti.
Ne consegue che il divieto di assistere una delle parti contro l’altra si ponga, se non strettamente in termini di obbligo giuridico, quanto meno in termini di opportunità e correttezza, per gli avvocati che hanno ricevuto incarichi separati (anche alla luce dei doveri deontologici di fedeltà e di non agire in conflitto di interessi previsti dal CDF).
In questa luce, la previsione del mandato limitato imposta dal metodo della pratica collaborativa altro non fa che rafforzare l’obbligo di lealtà e cooperazione che compete ai legali della parti (oltre che ai loro assistiti), con la finalità di meglio salvaguardare gli interessi dei clienti, focalizzando l’attenzione e concentrando gli sforzi sull’obiettivo comune ed evitando che il raggiungimento di questo obiettivo possa essere frustrato dalla minaccia di adire le vie giudiziali (spesso agitata come strumento di pressione nella negoziazione avversariale)5.
Ed infatti, come è stato correttamente osservato, “Il carattere (teleologicamente) delimitato del mandato che le parti conferiscono ai professionisti dà luogo a indiscutibili vantaggi per le parti stesse (che sanno di poter godere di uno spazio qualitativamente e quantitativamente idoneo libere da pressioni e minacce legate alla prospettiva del processo) e per gli avvocati, che avendo un incarico condizionato in positivo alla riuscita della negoziazione si concentrano su questo e sulla ricerca di soluzioni valide e rispettose dei bisogni e interessi di entrambe le parti” 6.
Conclusioni: diffondere la cultura della negoziazione collaborativa per raggiungere i nuovi obiettivi della solidarietà e della sostenibilità
Il traguardo raggiunto dai Professionisti Collaborativi spagnoli dimostra che le resistenze ad abbracciare la logica della Pratica Collaborativa (resistenze prive di fondamento giuridico e solo determinate da retaggi culturali), possono essere superate.
Per far ciò è tuttavia necessaria una sensibilizzazione nazionale, con iniziative diffuse su tutto il territorio, volte a spiegare come sia questa un’occasione storica per confermare il ruolo centrale delle nostre professioni nel perseguimento degli obiettivi della sostenibilità (fondati sulla collaborazione tra tutti gli stakeholder) che ci siamo prefissati a livello mondiale, con l’agenda ONU 2030, e a livello comunitario, con lo European Green Deal, con la Next Generation EU e con le iniziative volte a incentivare la Finanza sostenibile.
Occorre promuovere la formazione di “figure professionali nuove”, capaci di “assistere” le parti nei sistemi dell’ordine negoziato con la giusta competenza professionale e spiegare come queste figure professionali siano essenziali per affiancare gli imprenditori nella transizione verso una nuova cultura d’impresa che, ponendo la negoziazione collaborativa a fondamento della gestione dei rapporti con tutti gli stakeholders, abbracci un nuovo modello di governance finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di solidarietà e sostenibilità.
Occorre stimolare le associazioni di imprenditori, dei lavoratori, dei manager, a sensibilizzare i propri iscritti sulle sfide poste dagli obiettivi di solidarietà e sostenibilità fissati a livello mondiale, europeo e nazionale, offrendo percorsi di formazione volti a diffondere la cultura dell’approccio collaborativo alla gestione dei conflitti e l’impiego della negoziazione collaborativa nella costruzione dei contratti e rapporti con tutti i soggetti portatori di interessi.
Occorre quindi che non solo le Scuole, le Università, gli Ordini professionali e le rispettive Fondazioni, ma anche le associazioni di categoria (di imprenditori, lavoratori, manager) si affrettino ad avviare i necessari percorsi formativi, affinché la negoziazione collaborativa – come strumento per la prevenzione e gestione dei conflitti in tutti quei contesti (privati, pubblici, imprenditoriali) in cui non sia necessario il ricorso all’autorità giudiziaria – possa essere efficientemente impiegata da professionisti che, acquisite le necessarie competenze, accettino di mettersi in gioco per supportare le imprese nel perseguimento degli obiettivi della sostenibilità.
È un traguardo non certo facile, ma neppure impossibile, come ci hanno dimostrato i colleghi spagnoli, che sono riusciti a raggiungerlo.
Alessandro Baudino
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1 A. BAUDINO, E. VERRA, Collaborative practice and sustainability: how collaborative practice and collaborative professionals may contribute to achieving the goals of the 2030 agenda?, in Diritto ed economia dell’impresa, Fascicolo 5/2024, p. 806 e ss.
2 Le tecniche della negoziazione collaborativa, ispirate ai principi della “interest based negotiation” e rafforzate dall’obbligo di trasparenza e di collaborazione cui sono tenuti i professionisti che compongono la squadra collaborativa, possono infatti essere efficacemente impiegate in tutte le situazioni in cui la negoziazione collaborativa costituisce la chiave per costruire rapporti stabili e realizzare un ambiente di governance collaborativo necessario per il perseguimento di un progresso sostenibile. Il gruppo di studio interdisciplinare dell’Associazione Italiana Professionisti Collaborativi, composto da esponenti delle professioni maggiormente coinvolte nella gestione dei conflitti, ha inoltre sviluppato vari modelli di clausole di “negoziazione assistita secondo i principi della pratica collaborativa”, che hanno iniziato ad essere inclusi nella prassi redazionale dei contratti di durata (contratti di joint venture, statuti societari, patti parasociali, concessioni di vendita, somministrazione, società a partecipazione mista pubblico / privata per la gestione di servizi pubblici locali) e, più in generale, di tutti quei contratti in cui è preminente l’interesse della parti a conservare il rapporto e la relazione tra loro esistente e tutelare l’investimento comune.
3 L’espressione è mutuata dal brillante studio di: A. MONORITI, Dall’ordine imposto all’ordine negoziato, Torino, 2023.
4 Per una comparazione tra il metodo della negoziazione assistita e quello della pratica collaborativa si rimanda a: A. BAUDINO, La pratica collaborativa: procedure ADR a confronto e nuove prospettive per la risoluzione delle controversie in materia societaria, Seconda parte, in: Il Nuovo Diritto delle Società, G. Giappichelli Editore, Torino, 2019, n. 2/2019, pag. 199 e ss.
5 In questo senso è stato infatti osservato che “il mandato limitato ha molti più vantaggi che inconvenienti: motiva le parti e i professionisti aperseguire l’accordo con ogni ragionevole sforzo (non un accordo qualsiasi, ma un accordo sostenibile e conforme agli interessi delle parti), consolida il clima di fiducia, e protegge la riservatezza” (M. SALA, in AA. VV., La Pratica Collaborativa – Dialogo fra teoria e prassi, a cura di M. SALA E C. MENICHINO, Torino, 2017, pag. 67).
6 F. DANOVI, in AA. VV., La Pratica Collaborativa – Dialogo fra teoria e prassi, a cura di M. SALA e C. MENICHINO, Torino, 2017, pagg. 7 e ss.