Rischio di crisi e responsabilità dell’imprenditore.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e le sanzioni imposte a livello comunitario hanno inciso profondamente su un tessuto economico, nazionale ed europeo, già stremato dagli effetti distruttivi della pandemia di COVID 19 e che tentava progressivamente e faticosamente di riprendersi da una prolungata situazione di crisi generale.
Gli effetti della guerra, così vicina ai nostri confini, si sono riverberati immediatamente sulle borse, sul mercato delle valute e dei beni rifugio, con effetti sensibili sui cambi e sui prezzi di alcune materie prime, aggravando ulteriormente il problema dell’aumento dei costi delle risorse energetiche (gas e petrolio). La crisi ha inoltre inciso sull’accesso al credito bancario: nel senso che le specificità dell’azienda, il suo grado di esposizione ai nuovi rischi del mercato e la sua capacità a reagire assumeranno rilevanza centrale anche ai fini della valutazione del merito creditizio (come previsto dalle recenti “Guidelines on Loan Origination and Monitoring” emanate dalla European Bank Authority).
L’aumento dei prezzi, le instabilità dei cambi e gli effetti delle sanzioni spesso incidono sugli equilibri sinallagmatici dei contratti di compravendita e fornitura, rendendo ineseguibili o eccessivamente onerose le prestazioni corrispettive e mettendo così a repentaglio la sopravvivenza stessa di molte imprese sane ed affermate.
I nuovi e imprevedibili scenari che si profilano portano di nuovo drammaticamente all’attenzione il problema della gestione dei rischi cui le imprese sono soggette e delle responsabilità che ne conseguono a carico dei soggetti investiti di funzioni di amministrazione e controllo.
Il problema deve essere affrontato nella prospettiva della prudenza e lungimiranza imposta dal nuovo articolo 2086 c.c. e dalle ulteriori disposizioni confluite nel CCII ( Dlgs. 14/2019, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ripetutamente modificato e d entrato in vigore il 15/07/2022) che hanno ridisegnato il sistema delle responsabilità degli organi di amministrazione e controllo delle società e degli enti in funzione dell’obbligo di rilevazione precoce e gestione del rischio di crisi attraverso la pianificazione dell’attività d’impresa e l’adozione di assetti organizzativi adeguati volti al monitoraggio della continuità aziendale.
In questo nuovo quadro normativo, la prova di aver monitorato periodicamente la situazione economico patrimoniale e finanziaria della società – anche attraverso i test previsti dalla piattaforma informatica nazionale di cui agli artt. 5-bis e 25-undecies CCII – e di aver fatto ricorso tempestivamente alle procedure di composizione e regolazione della crisi, costituirà una condizione fondamentale per evitare l’assunzione di responsabilità (nei confronti di soci, creditori e terzi) nel caso in cui la crisi evolva verso un’insolvenza irreversibile e conduca al fallimento.
Le attivazioni in funzione preventiva: la rinegoziazione dei contratti di durata divenuti squilibrati per effetto della crisi.
Gli obblighi di attivazione degli amministratori non possono tuttavia esaurirsi con il ricorso – ex post – alle misure emergenziali e alle procedure (stragiudiziali o concorsuali) di gestione della crisi introdotte dal CCII.
L’ottica “forward looking” cui sono improntati i nuovi principi di corretta amministrazione impone infatti un’attivazione preventiva volta – ove possibile – a rimuovere alla radice le cause che possono compromettere le prospettive di continuità aziendali.
Orbene, tra queste cause assumono oggi rilevanza assolutamente centrale i fattori – scatenati dal nuovo scenario internazionale – che hanno perturbato profondamente l’esecuzione dei rapporti contrattuali delle imprese, in special modo quelli a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita. In molti casi, infatti, le prestazioni corrispettive sono divenute squilibrate per effetto della crisi a causa dell’incidenza degli aumenti imprevisti e incontenibili delle materie prime, ed ora anche dell’energia: aumenti che rischiano di compromettere la stessa possibilità dell’azienda di rimanere sul mercato nel caso in cui le parti non addivengano ad una rivisitazione del rapporto.
In tutti questi casi la rivisitazione del rapporto ai fini della sua conferma e del suo mantenimento in vita costituisce un interesse superiore poiché, in quanto collegato all’esigenza di garantire la continuità d’impresa, si riverbera su tutti gli stakeholder i cui patrimoni e le cui attività sono comunque profondamente influenzate dall’attività di impresa.
Le regole del codice civile che disciplinano le vicende costitutive e modificative dei contratti non offrono tuttavia rimedi utili per raggiungere questi obiettivi.
Le disposizioni esistenti in tema di impossibilità ed eccessiva onerosità sopravvenuta operano infatti con effetti rescissori, consentendo alle parti di ottenere una sentenza che dichiari lo scioglimento del contratto quando una delle due prestazioni sia divenuta eccessivamente onerosa o ineseguibile, ma non anche di rideterminare il contenuto delle prestazioni, alla luce delle mutate condizioni del mercato e dei fattori che le hanno rese squilibrate.
Da qui l’esigenza di affrontare e disciplinare adeguatamente (in via preventiva, nella fase di conclusione del contratto, o in via successiva, nella fase di rinegoziazione) il rischio e l’effetto di quei fatti esterni che rendono una delle prestazioni (parzialmente o per un certo tempo) impossibile o eccessivamente onerosa.
Le clausole di “Force Majeur” e di “Hardship” e l’obbligo di rinegoziazione in buona fede delle condizioni contrattuali.
Un suggerimento importante per affrontare e gestire in via preventiva i fattori di rischio cui si è accennato si può trarre dalla prassi redazionale dei contratti internazionali di durata. In questi contratti è infatti consuetudine inserire le cosiddette clausole di “Force Majeur” e di “Hardship”, che impongono alle parti di rinegoziare in buona fede le condizioni dei contratti quando queste risultino sproporzionate per effetto di fatti sopravvenuti non previsti e imprevedibili.
A questo fine è possibile richiamare pattiziamente gli “UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts (UPICC)”, ed in particolare i principi 6.2.1 e seguenti in tema di esecuzione dei contratti.
In particolare il principio 6.2.2 definisce il concetto di “hardship” come una situazione di “difficoltà” in cui “il verificarsi di eventi altera fondamentalmente l’equilibrio del contratto o perché il costo della prestazione di una parte è aumentato o perché il valore della prestazione che una parte riceve è diminuito, e: a) gli eventi si verificano o vengono a conoscenza della parte svantaggiata dopo la conclusione del contratto; b) gli eventi non avrebbero potuto ragionevolmente essere presi in considerazione dalla parte svantaggiata al momento della conclusione del contratto; c) gli eventi sfuggono al controllo della parte svantaggiata; e d) il rischio degli eventi non è stato assunto dalla parte svantaggiata”.
Il principio 6.2.3 (Effetti delle difficoltà) disciplina lo strumento della rinegoziazione che le parti sono tenute ad attivare al fine di riportare il contratto ad equità riequilibrando il sinallagma contrattuale o rimodulando la prestazione divenuta difficilmente eseguibile.
La regola stabilisce che “(1) In caso di difficoltà la parte svantaggiata ha il diritto di richiedere la rinegoziazione del contratto. La richiesta è presentata senza indebito ritardo e indica i motivi su cui si basa. (2) La richiesta di rinegoziazione non autorizza di per sé la parte svantaggiata a rifiutare l’esecuzione. (3) In caso di mancato raggiungimento di un accordo entro un termine ragionevole, ciascuna delle parti può ricorrere al tribunale. (4) Se il giudice riscontra difficoltà, può, se ragionevole, (a) risolvere il contratto in una data e a condizioni da fissare, o (b) adattare il contratto al fine di ripristinarne l’equilibrio”.
La vincolatività delle predette clausole e l’obbligo di rinegoziare il contratto in presenza di fatti che turbino l’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni possono poi essere rafforzati con un espresso richiamo al dovere di collaborazione, che costituisce la prima è più immediata declinazione dei principi fondamentali di solidarietà civile consacrati nelle nostre carte costituzionali (comunitaria e nazionale).
Il riferimento è all’Art. 2 della Costituzione italiana, che stabilisce che “La Repubblica (…) richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. E nella stessa direzione si pone l’Articolo 2 del trattato sull’Unione Europea, che stabilisce che “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, (…) in una società caratterizzata (…) dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.
Le declinazioni di tali principî si rinvengono nell’art. 1375 c.c. (“Esecuzione di buona fede”, a norma del quale “Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”). E nell’1175 c.c., “Comportamento secondo correttezza”, a norma del quale “Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”.
In base all’art. 1374 c.c.. (“Integrazione del contratto”), che stabilisce che “Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”, i principi di buona fede e correttezza divengono norme del contratto che impongono alle parti di tenere una condotta collaborativa, anche nella prospettiva di riequilibrare il sinallagma a circostanze ed esigenze sopravvenute.
La clausola di negoziazione assistita secondo i principi del metodo collaborativo.
Le clausole di “Force Majeur” e di “Hardship, per quanto accortamente sviluppate ed elaborate, non sono tuttavia sufficienti per garantire che la negoziazione si svolga in modo adeguato ed efficace e conduca al raggiungimento di una soluzione condivisa soddisfacente per entrambe le parti.
Occorre infatti disciplinare adeguatamente il processo negoziale, individuando gli obblighi delle parti e dei rispettivi professionisti, tempi e modalità di svolgimento della negoziazione.
A questo fine uno strumento vincente è offerto dalla Pratica Collaborativa, che può essere incardinata ricorrendo all’istituto della “negoziazione assistita da avvocati”, previsto dall’art. 2 del D.L. 132/2014.
Rispetto alla negoziazione assistita, il metodo della pratica collaborativa introduce alcuni ulteriori requisiti, posti a garanzia del buon esito della negoziazione. Si tratta, in particolare:
- dello specifico obbligo di trasparenza delle parti e dei loro professionisti;
- dell’obbligo di formazione continua dei professionisti che partecipano al tavolo collaborativo,
- e del mandato limitato.
Il mandato affidato ai professionisti che siedono al tavolo collaborativo è, infatti, limitato alla sola fase della negoziazione, sino al raggiungimento dell’accordo, e comporta l’impegno dei professionisti ad astenersi dall’assistere professionalmente le parti, in caso di insuccesso della negoziazione, in relazione a questioni che abbiano attinenza o siano connesse con quelle oggetto della controversia e dunque oggetto della negoziazione tramite la pratica collaborativa.
Alla luce delle considerazioni svolte, pratica collaborativa e negoziazione assistita appaiono tra loro complementari. Si può anzi affermare che lo strumento della negoziazione assistita si presenta come un efficace “contenitore” che offre alla pratica collaborativa la possibilità di avvalersi di alcune prerogative rilevanti, accordate dal DL 132/2014, e precisamente:
- l’effetto interruttivo della prescrizione e della decadenza che l’art. 8 del DL 132/2014 attribuisce all’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita e alla sottoscrizione della relativa convenzione;
- l’efficacia di titolo esecutivo che l’art. 5 del DL 132/2014 attribuisce all’accordo concluso all’esito della procedura.
Per contro, la pratica collaborativa costituisce un perfetto “contenuto” che, se recepito nella convenzione di negoziazione assistita, può utilmente integrare la sintetica disciplina che regola l’istituto, consentendo alle parti ed ai loro legali di meglio esplicitare i rispettivi obblighi ed obiettivi e di regolare le modalità di svolgimento della procedura nel modo più efficace, rapido ed opportuno, applicando tecniche di negoziazione particolarmente sofisticate e collaudate.
Per queste ragioni la Clausola di negoziazione assistita secondo i princìpi della pratica collaborativa, elaborata dal gruppo di studio “Laboratorio di Civile Commerciale” istituito dall’Associazione Italiana Professionisti collaborativi, costituisce oggi la formula sicuramente più sofisticata ed efficace per la gestione di una negoziazione finalizzata al superamento del conflitto in tutti quei casi in cui è predominate l’interesse comune – individuale e collettivo – alla ricostruzione dei rapporti tra le parti ed alla tutela dei valori economici, e non solo, in gioco.