PRIMA TAPPA – Una storia è tante storie
Quando l’AIADC ha proposto alle sue varie articolazioni territoriali di partecipare ad una gara per la realizzazione di un video di promozione della Pratica Collaborativa, all’interno del Practice Group della Toscana abbiamo costituito un gruppo di dodici soci interessati a lavorare al progetto.
Nell’affrontare la sfida abbiamo cominciato con l’applicare alcuni strumenti di lavoro tipici della negoziazione basata sugli interessi, quali il lavoro di team ed il brainstorming.
Approfittando della stagione estiva ci siamo trovati al mare intorno ad una lavagna portatile a fogli mobili dove abbiamo appuntato tutte le nostre idee concepite a ruota libera, una sollecitata dall’altra, l’una migliorativa dell’altra, per poi analizzare ciascuna, scartare quelle che non superavano le nostre sempre più attente valutazioni e sceglierne infine una.
A conclusione di una giornata di sole siamo usciti con un’idea che ci ha convinti tutti, quella di servirsi di una metafora, il muro, e di un medium, la sabbia. La sabbia ci è sembrato l’elemento più adatto, per la sua leggerezza e fluidità, per segnare i vari passaggi da una fase all’altra, le trasformazioni durante il percorso, dalla crisi alla sua soluzione.
Abbiamo individuato un’artista della sabbia e, dopo qualche settimana di lavoro, le abbiamo consegnato lo storyboard e le parole del racconto a due voci, una maschile ed una femminile, per rappresentare con la sabbia la storia da noi pensata che in soli due minuti cerca di trasmettere il significato di ciò che accade in un contesto di crisi di coppia e di spiegare il fine che si propone la Pratica Collaborativa.
L’aver vinto il concorso proposto dall’AIADC è stata la ciliegina sulla torta, torta ampliata dal valore di aver portato a compimento un lavoro a più mani applicando noi stessi ciò che proponiamo come metodo di lavoro alle persone che affrontano un conflitto e, quindi, innanzitutto, un lavoro di squadra per trovare una soluzione condivisa con soddisfazione di ciascuno.
Dalla prossima settimana, per quattro settimane consecutive, ogni venerdì sarà possibile approfondire le varie trasformazioni raccontate nel video attraverso la lettura di altrettanti articoli a firma di componenti del gruppo redazionale dell’AIADC.
Practice Group Toscana
SECONDA TAPPA – La casa crolla

Perché la separazione non si traduca in un’esperienza disperante, occorre dedicarvi tempo e cura. Ricorrere a soluzioni rapide che allevino velocemente il dolore, magari delegando il difficile compito a un esperto che, promettendo una vittoria, cancelli anche il dispiacere di aver perduto qualcosa di importante, comporta un’espropriazione. Facendo appello al pensiero magico infantile, si può pensare di richiede un intervento in anestesia, che traghetti fuori dall’esperienza dolorosa; ma lasciare che siano altri a risolvere i propri conflitti significa espropriarsi di un’esperienza preziosa, trovarsi altrove in un momento importante della propria vita.
La pratica clinica insegna quanto il rimedio spesso sia peggio del male e quanta forza si possa trarre dalla traversata di un dolore.
Quando la casa crolla e la relazione si trasforma, la più istintiva reazione al dolore dovuto alla perdita è la proiezione: un meccanismo di difesa che permette di portare fuori da sé, come fosse cosa estranea, tutto ciò che è fonte di sofferenza. Nel momento in cui la coppia scoppia, c’è un tempo in cui l’uno può intravedere nell’altro il nemico, attribuirgli ciò che c’è di più disdicevole e che si fatica a riconoscere come proprio, fino a disprezzare tutto quel che sino a poco prima è stato oggetto di desiderio o fonte di piacere.
Le separazioni più turbolente insegnano quanto non sia l’amore a tenere avvinti all’altro ma piuttosto la sua negazione, l’odio degradato a rancore. Affinché la separazione non prenda la forma di un legame disperante occorre che certi meccanismi di difesa abbiano un tempo e trovino il modo di articolarsi; occorre che il rancore con cui ci si tiene legati all’altro, e all’idea di un torto subito, ceda il passo all’elaborazione del lutto.
Se si è amato, si è in grado di amare differentemente. Tollerare la perdita comporta poter lasciare andare ciò che non c’è più, riappropriarsi e rimettere in gioco amore e odio ritrovando, anche grazie al dolore, la forza e la responsabilità necessaria per continuare a scrivere la propria storia.
La Pratica Collaborativa lavora in questa direzione, invitando le parti a sedersi intorno a un tavolo, impegnandole nella ricerca delle parole per dire e decifrare i propri e gli altrui interessi, affinché il progetto familiare che si va disegnando possa tener conto di entrambi.
Nel momento in cui ci si sente più vulnerabili si è propensi alla chiusura, alla diffidenza, si è pronti a direzionare le proprie energie allo scontro; la Collaborativa invita a praticare una sorta di paradosso che ha in sé il senso della cura: solo lavorando insieme ci si può separare bene. Se si tiene conto anche dell’altro e delle sue esigenze, la separazione non costituisce un trauma e la perdita diviene la premessa di nuove acquisizioni.
Le separazioni costellano la vita di ciascun individuo; ognuna di esse è un’occasione per dar forma ad una sempre più articolata capacità di amare.
Federica Marabini
TERZA TAPPA – Torti e ragioni

Tra i torti e le ragioni, distribuiti secondo la propria visione, ognuno dei coniugi durante la separazione ricerca la soluzione per riprogrammare il futuro. Un futuro da famiglia separata che appare dai confini incerti e spesso stereotipati. Torti e ragioni vengono così, una volta attribuiti, passati al vaglio di diritti che si vorrebbero imporre all’altro come vessilli del predominio futuro: ed è proprio attraverso la cartina di tornasole del diritto e delle norme che i coniugi cercano di individuare i punti di equilibrio futuri.
Si tratta di un’operazione poco appagante, in cui la conflittualità dei torti e delle ragioni, secondo l’attribuzione di ognuno, rischia di essere ulteriormente esasperata dal tentativo di calare, su coniugi e figli, soluzioni statisticamente frequenti e socialmente riconoscibili: come se il futuro di una certa famiglia, per il sol fatto di separarsi, potesse di colpo diventare omologabile a quello di altre famiglie separate.
Ciò che solitamente avviene è, quindi, il tentativo di sedare il singolo conflitto familiare ingabbiandolo in soluzioni e schemi potenzialmente replicabili per ogni famiglia.
Ciò che la Pratica Collaborativa propone è, invece, di lasciare che il conflitto possa positivamente esprimersi e trasformarsi per arrivare ad individuare i veri interessi dei coniugi e dei figli.
Un dialogo, dunque, sul conflitto basato sull’ascolto reciproco e finalizzato a fare emergere e sostenere in maniera paritaria gli interessi di ognuno, dove il diritto illumina il percorso ma non lo omologa.
L’orizzonte di approdo è chiaro e condiviso e reca con sé la matrice più importante, quella di un’autentica sostenibilità rispettosa dei bisogni profondi di coniugi e figli.
Spazio alla creatività, quindi, e alla ricerca di soluzioni che non affondino le proprie radici nei torti e nelle ragioni del passato ma che appaghino i bisogni del futuro.
Laura Buzzolani
QUARTA TAPPA – Tutti uniti per separarsi

Il lavoro intorno al tavolo collaborativo presuppone la partecipazione personale della coppia che si separa, supportata ed accompagnata da un team di professionisti composto necessariamente da due avvocati, uno per ciascuna parte, e da altri esperti neutrali individuati a seconda delle esigenze del caso specifico. Idealmente: il facilitatore della comunicazione, l’esperto finanziario e l’esperto dell’età evolutiva.
Perché tutti insieme intorno al tavolo, anziché procedere più semplicemente mediante delega a due bravi avvocati? E, innanzitutto, perché la coppia è chiamata a lavorare insieme, proprio quando ciascuno dei due vorrebbe prendere le distanze dall’altro?
La risposta va ricercata nel fatto che le persone in conflitto sono anche quelle che, se adeguatamente supportate, possiedono le conoscenze necessarie per risolverlo nel modo migliore. Inoltre in due ci si libera reciprocamente, meglio e più in fretta, di quanto si possa fare da soli. E’ come se ciascuno possedesse le chiavi della porta che consente l’uscita dell’altro, con il risultato di liberarsi reciprocamente da un legame che, diversamente, potrebbe diventare “disperante”.
Intorno al tavolo collaborativo i partner sono aiutati a comprendersi reciprocamente per individuare gli interessi sottesi alle contrapposte posizioni e, successivamente, le varie opzioni che indirizzano verso soluzioni creative del conflitto. Inoltre la partecipazione diretta delle parti consente loro di sperimentare un metodo di gestione del conflitto che in futuro potrà essere di nuovo applicato per affrontare le tante fisiologiche occasioni di confronto di punti di vista diversi nel crescere i figli. Sostenere l’autonomia della coppia, anziché accogliere come professionisti una delega che passivizza e deresponsabilizza soggetti adulti, è fondamentare per salvaguardare l’autostima delle parti e l’immagine di genitore agli occhi dei figli.
Perché, infine, un team professionale interdisciplinare?
La presenza di competenze diverse al tavolo collaborativo rispecchia la varietà delle tante sfaccettature del problema della coppia – relazionale, economico, legale – e porta la voce dei figli. Non si tratta solo di lavorare meglio e più rapidamente, e dunque anche con contenimento di costi, con tutte le competenze in un unico contesto ma anche di avere costantemente rappresentata la necessità di tenere in considerazione tutti gli aspetti rilevanti durante il percorso di riorganizzazione delle relazioni familiari. È garanzia di co-presenza di competenze diverse ed anche di ascolto di tutte le differenti istanze, inside out.
Lavorare tutti uniti al momento della separazione della coppia, seppur faticoso, è conveniente e restituisce generosamente in risultati ciò che chiede in impegno.
È il paradosso vincente della Pratica Collaborativa.
Carla Marcucci
QUINTA TAPPA – Nuove prospettive

Al tavolo collaborativo era arrivata una coppia, ancorata al proprio passato, appesantita da una valigia di rancori, frustrazioni, pretese e aspettative tradite.
Il faticoso lavoro che i due partner hanno dovuto fare è passare dal linguaggio del “voglio – mi spetta” al linguaggio del “sento il bisogno di …. – per il mio futuro desidero che …” e all’ascolto dei bisogni e desideri dell’altro/a.
Non è stata una passeggiata ma un cammino impegnativo che ha richiesto di essere fatto in prima persona, per riuscire a voltare lo sguardo, fissato sul passato, verso il futuro.
All’inizio non avrebbero pensato di giungere alle soluzioni alle quali sono arrivati.
Talora, invece, l’accordo è quello che uno o entrambi avevano già immaginato sin dall’inizio ma sono loro due, adesso, a viverlo in maniera molto diversa avendolo fatto proprio.
Un accordo consapevole e, quindi, probabilmente destinato a durare nel tempo.
E se con il tempo i bisogni cambieranno?
È molto probabile che sapranno rimettersi ad un tavolo, anche da soli, per adeguare gli accordi alle nuove esigenze, facendo tesoro dell’esperienza già fatta ed utilizzando di nuovo quell’approccio creativo alla soluzione dei problemi imparato in questa occasione.
Hanno sperimentato l’importanza di rimanere artefici della propria vita e responsabili delle decisioni, anche in un momento molto difficile, protagonisti della loro vita, accompagnati da un team professionale che ha rappresentato l’olio motore che ha fatto muovere gli ingranaggi della negoziazione.
Adesso ciascuno potrà andare per la sua strada, libero di investire le proprie energie in progetti nuovi ed individuali ma anche di continuare a condividere la responsabilità ed il piacere di quelli realizzati insieme, come i figli. Lasciando spazio al libero evolversi di tutte le potenzialità, sia dei figli che proprie.
Il viaggio nella vita può riprendere, con una valigia alleggerita dai macigni del conflitto ed arricchita di tanta esperienza e delle cose buone del passato.
Francesca Araldi