(Questo articolo è apparso su Altalex, 10 maggio 2012)
Il ‘processo collaborativo’ è un metodo innovativo di regolamentazione non contenziosa dei conflitti, che può sintetizzarsi con il seguente paradigma: “dal contraddittorio al dialogo”, e che si avvale dell’arte della negoziazione di quegli avvocati che operano in diritto di famiglia che sanno individuare soluzioni pacifiche, senza essere strumenti di battaglia per ottenere la vittoria del cliente o la sconfitta dell’avversario. È un procedimento peculiare pragmatico che gli avvocati, formati alla Pratica Collaborativa, utilizzano per la gestione del conflitto familiare al momento della fine di un matrimonio o di una convivenza, che evita, quando è possibile, l’intervento del Giudice nella sfera familiare.
Il metodo è stato elaborato negli Stati Uniti negli anni 90, successivamente si è diffuso in Canada.
Secondo i dati statistici, il processo collaborativo genera grande soddisfazione nelle parti, alta probabilità di riuscita che si protrae nel tempo, motivo per cui sta ottenendo una sempre più ampia diffusione in Europa (particolarmente in Francia ed in Belgio) ed ora anche in Italia.
I principi del diritto collaborativo producono un particolare clima di fiducia, che coinvolge direttamente le parti interessate (coniugi o partners) e favorisce la conclusione di accordi condivisi, maggiormente rispondenti ai bisogni delle persone, rispetto ad altri tipi di soluzioni stragiudiziali.
Paul Coleridge, alto Magistrato della sezione familiare per l’Inghilterra e Galles, nel 2007, in occasione del Collaborative Law Forum, svoltosi a Londra, ha affermato: ”scopo del diritto collaborativo è quello di prendere parte alla rivoluzione già in atto del diritto familiare da alcuni anni e di cambiare le condizioni e lo scenario delle dispute familiari”.
In effetti, è generalmente riconosciuto un crescente senso di insoddisfazione della risoluzione delle controversie che insorgono in famiglia attraverso il procedimento contenzioso giudiziario ed è avvertita l’inadeguatezza dell’applicazione ai conflitti familiari, che non necessitano né di vincitori né di vinti, delle regole processuali del diritto civile.
Il diritto collaborativo nel diritto di famiglia diventa allora in questa nostra epoca una risposta immediata ed innovativa, sostenuta dagli avvocati, che in essa svolgono un ruolo di primaria importanza: consigliano e tutelano i clienti permettendo loro di avere a disposizione un tempo adeguato per identificare i loro reali interessi e bisogni e quelli dei figli e per affrontare le relative decisioni con equilibrio.
Il ricorso all’autorità giudiziaria avviene solo all’esito dell’iter extragiudiziale, per conseguire con decreto o sentenza l’omologazione o la ratifica delle condizioni dell’accordo raggiunto.
La forza del processo collaborativo consiste nel fatto che le parti ed i loro rispettivi avvocati di fiducia lavorano costruttivamente.
Lo spirito che si sviluppa nella pratica del diritto collaborativo è sostenuto da efficaci tecniche di comunicazione e di “negoziazione ragionata”, nel rispetto di regole prestabilite e di principi etici, tra i quali l’obbligo di non minacciare il contenzioso, della riservatezza e della trasparenza, contenuti nella c.d. “carta collaborativa” che i professionisti e gli assistiti sottoscrivono.
L’avvocato svolge un ruolo fondamentale, quello di fornire una consulenza giuridica qualificata in diritto di famiglia e per tutti quegli aspetti legali correlati alle questioni in trattazione nonché quello di assistere il proprio assistito durante gli incontri per la ricerca ed il raggiungimento, in un tempo notevolmente ridotto rispetto ai tempi di un contenzioso, di una soluzione duratura, nell’interesse dei figli e degli adulti coinvolti, all’interno di un modello giuridico.
La pratica del diritto collaborativo comporta per l’avvocato un cambiamento di mentalità: egli deve riuscire a percepire se stesso come colui che rappresenta gli interessi e non le posizioni del cliente.
Sostanzialmente tale pratica riunisce i due coniugi o partner e i loro rispettivi avvocati, che li consigliano ed assistono, in uno spirito di collaborazione.
In alcune fasi del processo collaborativo è previsto che le parti si incontrino in sessioni congiunte con i loro rispettivi avvocati e, rispettando i principi della confidenzialità, trasparenza, riservatezza, individuino le urgenze, si scambino ed esaminino documenti.
Nella comunicazione tra le parti, così come tra gli avvocati e tra questi ed i clienti, non sono utilizzati termini denigratori o accusatori.
Gli avvocati (e gli esperti che eventualmente dovessero intervenire: psicologo, commercialista, esperto contabile) svolgono, vincolati sempre al segreto professionale, un lavoro di condivisione della stessa metodologia operativa, agiscono in totale indipendenza l’uno dall’altro, ognuno rappresenta il proprio cliente, ma assume anche l’impegno di cooperare e lavorare “in team” per il raggiungimento dell’accordo condiviso.
L’avvocato è responsabile verso il proprio assistito per tutta la durata del procedimento, mantiene uno spirito di collaborazione con l’avvocato dell’altra parte e sotto vincoli comuni, anche con le altre figure professionali che fosse necessario far intervenire nel procedimento.
Particolarmente significativo è che l’avvocato dell’altra parte è riconosciuto non come un avversario, ma come un punto di forza nella ricerca della soluzione ai dissidi familiari.
Gli avvocati che aderiscono a questa pratica hanno sviluppato e sono portatori di una cultura nuova di risoluzione dei conflitti, che tutela i diritti delle persone e nello stesso tempo apporta benessere in capo ai soggetti coinvolti nel conflitto familiare.
Il mondo giudiziario italiano non potrà che considerare favorevolmente la Pratica Collaborativa nel diritto di famiglia, tenuto conto della relativa formazione degli avvocati, delle norme deontologiche e di tutte le garanzie che fornisce il processo collaborativo nella gestione e regolamentazione dei conflitti tra le parti coinvolte.
Si deve riconoscere che il processo collaborativo nel diritto di famiglia resta un modo autonomo di regolamentazione delle controversie che si inserisce in un quadro di cooperazione con il mondo giudiziario, ma che il percorso avanti l’autorità giudiziaria rimane l’unica soluzione per trattare delle vertenze che afferiscono alcuni tipi di crisi familiari, come quelle in cui vi sia violenza in famiglia, sindromi psichiatriche, alta conflittualità, per le quali il diritto collaborativo non può offrire soluzioni adeguate.
Il processo collaborativo per i casi in cui è praticabile diventa uno strumento concreto che consente di superare i limiti ontologici del diritto come mezzo di pacificazione sociale.
Già il Calamandrei sollecitava un impegno del diritto non finalizzato ad operare meravigliose costruzioni tecnico-sistematiche, ma a risolvere concretamente i conflitti tra gli uomini; gli avvocati che praticano il processo collaborativo sono operatori del diritto che di fatto concorrono, consapevolmente, insieme ai loro rispettivi assistiti, alla pacificazione nei rapporti sociali.
È stato recentemente scritto in occasione della presentazione del processo collaborativo: “senza guerre e nel segno dell’unità, dove non c’è una controparte sulla quale vincere” ed effettivamente è questo il paradosso vincente di tale pratica.