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Chiamami con il mio nome

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3 Settembre 2018 by Marcucci Carla
Copertina generica degli articoli pratica collaborativa

È un rischio trattare del Ddl Pillon, di cui tutti oggi parlano, proponendosi quel disegno di legge di regolamentare un tema “caldo” come quello della gestione dei figli quando una coppia si separa.

È un rischio perché nel confronto, spesso molto polemico ed assai strumentale, è facile essere fraintesi ed apparire contrari proprio ai valori nei quali si è sempre creduto.

Voglio qui affrontare questo argomento non parlando di affidamento, assegni di mantenimento ed assegnazione della casa familiare e senza alcun intento di trattazione del tema da un punto di vista tecnico e di analisi del testo.

Voglio trattarne da una prospettiva diversa e più generale e partire, invece, da un’altra considerazione, che sta a monte del tipo di soluzione scelta per regolamentare la famiglia dopo la separazione.

Il disegno di legge Pillon ha scelto una strada: quella di dare a tutte le famiglie in crisi un’unica soluzione.

È di questo che voglio parlare ed è questo che ritengo straordinariamente pericoloso e contrario all’interesse di bambini, adulti e, più in generale, di un Paese che abbia a cuore di promuovere al suo interno la crescita di cittadini responsabili e consapevoli, capaci di effettuare scelte appropriate.

Non è la soluzione prospettata dal disegno di legge Pillon – che può essere la migliore o la peggiore possibile, a seconda dei casi – che non mi piace. È l’unicità della soluzione che trovo inaccettabile.

La separazione di una coppia non è mai un evento semplice da affrontare, perché rappresenta un cambiamento complesso che coinvolge più aspetti, che non possono trovare soluzione, sia da parte dei diretti interessati che da parte dei professionisti che li assistono o dei giudici che dovessero decidere “il caso”, applicando una ricetta standard ma solo individuando una soluzione da tagliare su misura per ciascuna famiglia, proprio come un vestito di sartoria, cucito addosso alle singole persone piuttosto che prodotto in serie, con la possibilità di un diverso grado di corrispondenza alla taglia di ciascuno a seconda delle modalità con le quali la coppia avrà deciso di gestire la separazione.

Quello dell’omologazione delle soluzioni – una sola uguale per tutti – rappresenta in ogni caso un modo semplice e semplicistico che non è mai adatto a risolvere una situazione complessa.

Rappresenta una soluzione che, nella sua prevedibile evoluzione, induce a ritenere che una separazione possa essere risolta automaticamente, attraverso l’inserimento di una domanda compilata su modulo prestampato in una macchina che restituisce un ticket, una sorta di lasciapassare per un’altra chance di vita, con una soluzione che è sempre la stessa, uguale a tutte le altre.

Direi, anzi, che il Ddl Pillon è andato anche oltre, perché non ha affidato neppure all’elaborazione degli algoritmi la soluzione del caso concreto avendo già deciso, a priori, che non c’è alcun spazio per differenziare una soluzione dall’altra.

I valori che si negano, così facendo, tagliandone i costi e la fatica ma anche gli straordinari, possibili risultati, sono l’ascolto, la relazione, la comprensione, la pazienza del sostare, darsi un tempo e lavorare per trovare una soluzione specifica, adatta a quella singola ed unica famiglia.

In altre parole passa l’idea – del tutto illusoria – che possa escludersi quel percorso che solo, se ben fatto, può trasformare un momento di crisi in un’incredibile ed inaspettata opportunità di cambiamento e di crescita, nell’ambito della quale grandi e piccoli possano sviluppare quelle potenzialità evolutive che una convivenza non più funzionale rischierebbe di paralizzare.

Un bambino non ascoltato nelle sue specifiche esigenze, un adulto non compreso nei suoi interessi, intere famiglie regolamentate come se fossero truppe da mettere in riga, come potranno mai formare un popolo di persone che faccia grande, nel senso di maturo, il proprio Paese?

Questo dovrebbe interessare a chi governa un Paese, l’impatto delle soluzioni scelte sulla promozione delle capacità evolutive dei cittadini.

E noi, che di questo Paese siamo i cittadini, che Paese vogliamo, per noi e per i nostri figli, per le generazioni che lo abiteranno dopo di noi?

Sarebbe facile schierarsi a favore o contro il Ddl Pillon e dividersi, secondo quelli che possono sembrare i propri interessi immediati, gli uomini da una parte e le donne dall’altra.

Ma gli uni e le altre avrebbero uno sguardo davvero corto se oggi facessero questo, cadendo nella trappola dello scontro di genere, non rendendosi conto che in gioco qui non c’è un assegno di mantenimento da risparmiare o una casa da non perdere, o i figli da dividersi a metà, ma molto di più, ossia il diritto, di tutti, a non essere considerati un numero della cui vita si possa decidere sbrigativamente, come se ogni situazione fosse uguale a mille altre, come se le persone fossero prive di un nome e di una storia, trasparenti, identificate solo dal bollino che tutte le rappresenta in una indistinta ed indifferenziata categoria, quella di far parte della grande, unica famiglia dei “separati”.

In un paese dove la creatività appartiene al DNA dei suoi cittadini sarebbe davvero paradossale che rinunciassimo a utilizzarla proprio quando essa è indispensabile, per generare soluzioni che risolvano adeguatamente un conflitto.

Nell’800 Tolstoj scriveva che «Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo» e oggi sappiamo che anche le famiglie felici non sono più simili le une con le altre poiché ciascuna trova la felicità nei molti, diversi modi di fare famiglia che ormai anche il diritto ha legittimato.

Proprio adesso che abbiamo conquistato questa libertà nel formare una famiglia, come possiamo accettare di avere un unico modello di famiglia separata?

Pensare di ingabbiare la soluzione del conflitto familiare in un’unica soluzione è un’idea contraria ad un paese moderno e rappresenta un ritorno all’antico, quando esistevano un unico modello di famiglia consacrata dal diritto ed un’unica soluzione per regolamentarne la crisi.

Quella soluzione era solo di segno opposto a quella oggi proposta dal Ddl. Pillon ma, si sa, spesso soluzioni opposte si basano su analoghi paradigmi.

Categoria: Articoli di approfondimentoTag: Attualità, Metodi di separazione

About Marcucci Carla

Sono un avvocato con oltre trentacinque anni di esperienza ed esercito la professione esclusivamente nel settore del diritto delle persone, delle relazioni familiari e minorile.
Sin dall’inizio della professione ho molto creduto nelle modalità non contenziose di risoluzione dei conflitti a cominciare dalla mediazione familiare alla quale mi sono formata dai primi anni ‘90.
Dal 2010 sono formata anche alla Pratica Collaborativa e da allora sono particolarmente impegnata nella promozione e diffusione in Italia di questo nuovo metodo di risoluzione dei conflitti nell’ambito dell’attività svolta all’interno dell’AIADC Associazione Italiana Professionisti Collaborativi di cui sono socia fondatrice, Past President e formatrice dopo esserne stata presidente nel biennio 2016/2018.. Sono co-autrice del primo manuale pubblicato in Italia sulla Pratica Collaborativa dal titolo La Pratica Collaborativa -Dialogo fra teoria e prassi a cura di Marco Sala e Cristina Menichino, Torino, 2017.
Dal 2010 sono socia dell’International Academy of Collaborative Professionals (IACP), ho partecipato alle sue commissioni di lavoro, alle sue conferenze internazionali a cadenza annuale ed alcuni miei articoli sono stati pubblicati sulla rivista dell’IACP The Collaborative Review. Mi sono formata alla negoziazione basata sugli interessi frequentando i corsi organizzati dal Program on Negotiation (PON) dell’Harvard Law School a Cambridge USA, a Milano (PON Milan), online (ad esempio, Getting to Yes with William Ury’s BB3 Strategy PONx program , One-Day Expert Programs) oltre che frequentando in Italia, all’estero ed online altri corsi tenuti da professori dell’Harvard Law School (fra gli altri, Gary Friedman, Joshua Weiss, David Hoffman).
Sono stata componente del Consiglio Direttivo Nazionale dell’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori (AIAF) dalla costituzione dell’associazione, avvenuta nel 1993 sino all’aprile 2019.
Sono stata Presidente dell’AIAF Toscana dal 1993 all’aprile 2004 nonché componente del suo Consiglio Direttivo sino all’aprile 2014. Sono stata componente del Comitato Scientifico dell’Alta Scuola di Formazione dell’AIAF, con sede principale in Milano e varie sedi distaccate in Italia, dalla costituzione al febbraio 2020 nonché componente del corpo docenti.
Nella mia lunga vita professionale ho sviluppato specifiche competenze ed esperienza nella gestione delle controversie familiari, sia in via negoziale che contenziosa, implicanti complesse questioni di carattere economico/patrimoniale, impegnativi problemi relativi al regime di affidamento, domiciliazione e frequentazione dei figli (ad esempio, casi di alienazione genitoriale, trasferimento di un genitore all’estero con richiesta di condurre con sé i figli, problemi di attuazione nella frequentazione di uno dei genitori e molti altri ancora).
Mi sono molto occupata di rappresentanza e difesa delle persone minorenni, sia da un punto di vista pratico che teorico (curatore speciale, tutore e avvocato del minore).
Sono una convinta sostenitrice della funzione sociale dell’avvocatura e sento fortissima la passione per questa professione che esercito, prima ancora che come un lavoro, come impegno prioritario nella vita.
Per maggiori informazioni sul mio percorso formativo e professionale e su come lavoro rinvio al mio sito web carlamarcuccifamilylaw.it.

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