Il prof. Bruno Cavallone, illustre professore di Diritto processuale civile nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano, nell’intrigante libro “La borsa di miss Flite” inquadra l’avvio del processo civile come l’ingresso in un nuovo mondo, accessibile a pochi che, soli, ne conoscono le mosse e il linguaggio: “La notificazione (parliamo sempre, beninteso, di quella dell’atto introduttivo) è dunque in realtà un tocco magico, capace di effetti favolosi, come quello di trasferire i soggetti della controversia in un mondo artificiale dove la lite si trasforma in una lotta metaforica; ……… dove si parla un linguaggio diverso da quello consueto; dove il tempo reale si ferma, perché gli effetti del giudicato, sulle questioni identificate e descritte nell’atto notificato, retroagiranno proprio a quel momento genetico…; dove vigono regole di comportamento astruse che solo gli iniziati conoscono e sanno applicare; dove, infatti, ci si può di solito muovere soltanto con l’aiuto di guide e interpreti professionali, vestiti di apposite uniformi e autorizzate ad attraversare in qualsiasi momento e in entrambi i sensi il confine tra i due mondi, perché dotati di doppia cittadinanza”.
Se questo è il mondo artificiale del giudizio, lontano e distaccato da quello reale, noi vogliamo provare a contrapporre, nei conflitti gestiti con il metodo collaborativo, un mondo vicino, radicato nella realtà, dove gli effetti non possono prescindere dalla situazione concreta che i confliggenti trovano ogni sera varcando la soglia di casa loro; dove il linguaggio viene facilitato divenendo più chiaro, accogliente ed accessibile a tutte le parti in gioco; dove durante lo scorrere del tempo e dei lavori le cose lentamente si comprendono e, possibilmente, trasformano; dove le “guide” rimangono a fianco delle persone in difficoltà, disposte ad ascoltarle ed a tradurre quanto viene loro riferito, in modo da aiutarle a comprendere da sole e ad attivare, nei casi migliori, uno spontaneo cambiamento.
Nella complessità di queste situazioni la cosa più importante è cominciare a renderle semplici, possibilmente sdrammatizzandole, cercando di fare maggior chiarezza per arrivare ad una comprensione dei problemi che sia la più lineare possibile.
E’ qui che a mio avviso potrebbe avere buon gioco nel lavoro dei professionisti collaborativi sperimentare il nuovo linguaggio della facilitazione visuale: uno strumento per rendere visibili i processi mentali di una persona, aiutandola a traghettare le idee dal pensiero alla forma, portando chiarezza, efficienza e sviluppando la partecipazione attiva negli incontri delle persone coinvolte.
Il facilitatore visuale ascolta, pensa e disegna. Fissa i diversi punti di vista in modo che diventino comprensibili a tutti allo stesso modo. Rende gli incontri più coinvolgenti ed interattivi.
Nel dipanare la matassa del conflitto da sciogliere, il riuscire a rappresentare visivamente e con la massima semplicità i nodi più o meno profondi, piuttosto che gli strumenti a disposizione per scioglierli e l’interazione tra questi (imparando ad utilizzare le icone, il lettering, i frame), è certamente un metodo per rendere più facile a tutti la comprensione dei problemi.
Dopo aver subìto per anni il fascino di questa pratica, mi sono finalmente formata avendo la conferma che anche un avvocato può superare il “blocco del foglio bianco” e lasciarsi andare all’immaginazione. Scoprendo anche che è meno difficile di quanto si pensi!

Cimentatami poi nella rappresentazione visuale del cambio di paradigma del professionista collaborativo, ho poi utilizzato i disegni realizzati
appendendo i manifesti con semplici mollette da bucato in alcune presentazioni della Pratica Collaborativa.

Ebbene, ho avuto la netta sensazione di essere enormemente più comunicativa nel trasmettere i singoli aspetti del cambiamento, notando anche negli ascoltatori destarsi un interesse ed un coinvolgimento che difficilmente avrei ottenuto con le sole parole (e forse anche con delle slide).
Mi immagino quindi un laboratorio per esplorare l’uso delle immagini nella creazione di mappe concettuali che supportino i partecipanti nell’esplorazione delle loro dinamiche relazionali, nella co-progettazione del loro futuro, nell’apprendimento e in generale nel lavorare insieme.
Un laboratorio quindi per imparare, e forse in parte costruire ex novo, le tecniche di base per raccogliere in maniera visiva e creativa le informazioni ed emozioni che emergono dagli incontri a più voci di Pratica Collaborativa, utilizzando segni, icone e strutture basi (modelli visuali). Questi ultimi, per facilitare il nostro lavoro, potrebbero essere precedentemente preparati, e successivamente completati durante gli incontri, acquistando una loro unicità, con il dipanarsi in ogni singolo caso e con l’acquisizione degli apporti individuali di tutte le parti coinvolte.
Tutto ciò per mantenere il comune obiettivo di rimanere ben piantati nel mondo reale, scavando nello stesso, se e fino a quando necessario, al fine di ottenere risultati chiari, condivisi e in tempi brevi.