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Dovere di riservatezza dell’avvocato e testimonianza

Home - Articoli di approfondimento - Dovere di riservatezza dell’avvocato e testimonianza

12 Aprile 2021 by Daniela Maria Stalla
Il dovere di riservatezza dell'avvocato copertina

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Cass. Civ. sez. 1 n. 27703-2020 del 31.2.2020) sviluppa una accurata riflessione su un aspetto particolare della riservatezza, ossia sul diritto-dovere dell’avvocato di astenersi dal deporre su circostanze apprese per ragione del proprio ministero difensivo o della propria attività professionale.

Il caso è questo: due avvocati assistono un soggetto in una trattativa stragiudiziale. Successivamente lo stesso soggetto si trova a dover formulare una difesa in processo tutelato da altro legale ed intima ai due legali che lo avevano in precedenza assistito di deporre su fatti intervenuti nel corso della trattativa stragiudiziale. I due legali esercitano la facoltà di astensione e non depongono. La parte che aveva richiesto la deposizione dei due legali ritiene illegittima l’astensione asserendo, in sostanza, che la facoltà di astensione riguarderebbe solo il legale che assume la rappresentanza della parte in processo. La questione arriva alla Corte di Cassazione.

La dinamica è simile a quella nella quale potrebbe venire a trovarsi un avvocato collaborativo che abbia assistito una parte in un procedimento collaborativo e si veda chiamato a deporre, in procedimento avviato da altro legale, su circostanze occorse durante la negoziazione collaborativa.

La Corte di Cassazione chiarisce la piena legittimità dell’esercizio del diritto-dovere di astensione dell’avvocato, con riguardo a circostanze conosciute per ragione del proprio ministero difensivo o dell’attività professionale, anche qualora tali circostanze si siano state apprese in una fase diversa da quella processuale ed anche qualora il difensore sia diverso dal legale che rappresenta la parte in processo.

La Corte motiva la propria decisione innanzitutto sull’art. 249 c.p.c. che regola la facoltà di astensione dell’avvocato in combinato disposto con l’art. 200 c.p.p. secondo il quale gli avvocati “Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione”.

La Corte richiama poi la decisione della Corte Costituzionale n. 87 del 1987 secondo la quale “La facoltà di astensione dalla testimonianza in giudizio presuppone la sussistenza di un requisito soggettivo e di un requisito oggettivo. Il primo, riferito alla condizione di avvocato di chi è chiamato a testimoniare, consiste nell’essere la persona professionalmente abilitata ad assumere la difesa della parte in giudizio. Il secondo requisito è riferito all’oggetto della deposizione, che deve concernere circostanze conosciute per ragione del proprio ministero difensivo o dell’attività professionale, situazione questa che può essere oggetto di verifica da parte del giudice”.

La Corte di Cassazione precisa che “il controllo riservato al giudice circa il corretto esercizio della facoltà di astensione va focalizzato esclusivamente sulla ricorrenza dei presupposti soggettivo ed oggettivo, senza che la scelta compiuta dall’avvocato, intimato come teste, possa ritenersi sindacabile sotto il profilo dell’interesse del soggetto che ha articolato la prova testimoniale”.

La Corte richiama infine gli artt. 28 e 51 del codice deontologico forense che sanciscono il “dovere”, oltreché il “diritto”, dell’avvocato di mantenere il più assoluto riserbo su tutte le informazioni delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato.

L’obbligo di riservatezza che l’avvocato collaborativo assume nel sottoscrivere l’accordo di partecipazione è quindi totalmente in linea con il dovere di riservatezza che caratterizza il ruolo e la professione dell’avvocato, così come regolata dalle norme di diritto positivo e dal codice deontologico forense, anche se intesi nel loro senso più tradizionale e funzionale allo svolgimento del processo.

Categoria: Articoli di approfondimentoTag: Legge, Principi, Professionisti, Squadra collaborativa

Autore

  • Daniela Maria Stalla
    Daniela Maria Stalla

    Sono iscritta all’albo dal 1985 e mi occupo in modo quasi esclusivo di diritto di famiglia e delle persone. Tratto tutti i temi del conflitto familiare (separazioni, divorzi, scioglimento di unioni civili, cessazioni di coppie di fatto, affidamento di minori) e tutte le questioni patrimoniali legate al mutamento degli assetti familiari (trasferimenti patrimoniali, attribuzioni di beni, divisioni, gestione di società e imprese familiari, gestione dei passaggi generazionali). Mi occupo inoltre dei procedimenti a tutela delle persone in stato di incapacità o con autonomia limitata (interdizioni, inabilitazioni, amministrazioni di sostegno, disposizioni patrimoniali a tutela di soggetti con disabilità). Sono diventata avvocato collaborativo nel 2010 e da allora non ho mai smesso di coltivare questa competenza. Ho studiato ed approfondito le tecniche di negoziazione non conflittuale secondo il metodo della negoziazione basata sugli interessi della scuola di Harvard. Applico queste competenze in tutti i casi che gestisco, perché con gli anni ho imparato che è meglio aiutare le persone a costruire buoni accordi, piuttosto che assecondare logiche avversariali. Dal 2024 svolgo anche attività come mediatrice civile commerciale. Sono Past President dell’AIADC. Sono stata componente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino e coordinatrice della Commissione Famiglia.

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