L’introduzione della negoziazione assistita in materia di famiglia (D.L. n. 132/2014, convertito nella legge n. 162/2014), ad opera di un legislatore distratto (che dimentica i figli nati al di fuori del rapporto coniugale dopo averli poco prima assimilati, in unico status, a tutti gli altri) e di un governo mosso unicamente da intenti deflattivi, ha trasformato un’idea rivoluzionaria, rispetto al nostro ordinamento e alla nostra cultura giuridica, in una scatola vuota.
L’idea rivoluzionaria
Con la legge n. 162/2014 è stato completamente eliminato il controllo di carattere giurisdizionale, tipico di tutti i procedimenti familiari a domanda congiunta relativi alla disgregazione della famiglia, ed è stato introdotto un mero controllo di carattere amministrativo affidato, in prima battuta, al Procuratore della Repubblica – con il sistema del nulla osta o dell’autorizzazione – e, in seconda battuta, al Presidente del Tribunale, quando tale autorizzazione viene negata. Con ciò si è finalmente realizzato quel processo di privatizzazione del rapporto coniugale che ha avuto bisogno di anni di gestazione e si è riconosciuto valore all’autodeterminazione delle persone.
Perché una scatola vuota?
Il principio, rivoluzionario, appunto, si è, però, concretizzato in un testo scritto male, che dimentica completamente i principi sostanziali che informano le ADR, a cominciare dalla necessaria attiva partecipazione delle parti; non si preoccupa di individuare le modalità concrete della negoziazione, se non prevedendo alcune lacunose formalità della procedura, foriere di contrastanti interpretazioni e di gravi sanzioni per gli avvocati, in caso d’inosservanza o di errata interpretazione; non garantisce un contesto di trasparenza e di effettiva riservatezza nella negoziazione; non si pone il problema che nasce dal possibile fallimento della negoziazione e dalla ammessa possibilità per i difensori che hanno assistito le parti durante il procedimento di negoziazione di continuare a rappresentarle nel giudizio contenzioso che seguirà; non richiede alcuna specifica formazione degli avvocati nonostante sia noto che negoziatori non ci s’improvvisa ma si diventa a seguito di percorsi formativi ad hoc.
La Negoziazione Assistita italiana, come già la procédure partecipative francese, purtroppo, rappresenta una pessima storpiatura della Pratica Collaborativa di cui ha disatteso i principi fondamentali: la trasparenza, la limitazione dell’incarico dato ai professionisti – al fine di raggiungere un accordo – e il divieto di successivo patrocinio in giudizio contenzioso, la previsione di una precisa coreografia della procedura, la negoziazione sugli interessi delle parti e la necessaria specifica formazione dei professionisti.
Proprio per queste ragioni, affinché la portata rivoluzionaria della negoziazione assistita non vada completamente smarrita e l’accordo di separazione (o di divorzio) raggiunto all’esito di essa non finisca per rappresentare un prodotto identico ad tradizionalissimo ricorso per separazione consensuale (o al ricorso congiunto per divorzio), con l’unica differenza di aver bypassato la necessità di un’udienza di comparizione personale dei coniugi, è indispensabile che la scatola vuota si riempia del contenuto della Pratica Collaborativa.
Negoziazione Assistita e Pratica Collaborativa a braccetto e potranno andare veramente lontano portando la famiglia, sostanzialmente e non solo fisicamente, fuori dalle aule di tribunale, in un contesto molto più adatto a risolvere il conflitto familiare, purché questo offra quelle garanzie di struttura, principi, competenze e capacità immaginate da Stuart Webb quando ebbe l’idea geniale di creare quel contenitore pieno che è la Pratica Collaborativa.
Per concludere: se è certo che la Pratica Collaborativa può funzionare benissimo anche senza servirsi del volano della Negoziazione Assistita (che le consente solo di non rivestire l’accordo delle parti con una “ratifica” di natura giurisdizionale), al contrario, la Negoziazione Assistita, così come è stata delineata dal nostro legislatore, non ha gambe sufficientemente forti per reggersi in piedi da sola.