Da avvocato negoziatore e collaborativo sono abituata ad impegnarmi al massimo nel
cercare fuori dal tribunale la soluzione dei conflitti familiari.
Non avrei, dunque, mai immaginato di soffrire così tanto la paralisi dell’attività
giurisdizionale civile conseguente all’adozione delle misure per fronteggiare
l’emergenza Covid-19.
Anche durante questo periodo, infatti, è stato possibile continuare a coltivare le
negoziazioni in corso ed avviarne di nuove mediante l’uso di videoconferenze nel
rispetto del distanziamento fisico.
E, allora, perché questo senso di disagio, così fortemente avvertito, per la sospensione
dell’attività giurisdizionale che, anzi, potrebbe rappresentare, indirettamente, una
ragione in più per orientare le persone verso quel mondo, che prediligo,
dell’Alternative Dispute Resolution?
L’esperienza di questo momento mi ha rafforzato nella convinzione che, per lavorare
bene fuori e lontano dal tribunale, nell’ambito di quella che è stata definita giustizia
complementare, è necessario avere la garanzia che l’alternativa al dialogo e al lavoro
sugli interessi, propria del mondo delle ADR, sia il diritto e non la forza. Come ben
sappiamo, un conflitto può risolversi secondo tre diversi criteri alternativi, la forza, il
diritto o gli interessi. Se il secondo diventa inapplicabile per inaccessibilità, anche solo
momentanea, di chi deve ius dicere, il rischio è quello di dover soccombere all’arbitrio
e alla prepotenza del più forte ogni volta che non sia possibile intavolare un dialogo
sugli interessi di tutte le parti in conflitto.
È per questo – credo – che collaborare non può diventare una necessità ma deve
rimanere una libera scelta, effettuata nella convinzione che sia la strada più
appropriata, non l’unica disponibile.
La giustizia non può e non deve fermarsi, deve funzionare bene sempre perché “Non
c’è civiltà senza giustizia. ….. Non c’é democrazia senza giustizia”, come, nell’articolo
dal titolo La Giustizia in quarantena, scrive la dott.ssa Maria Giuliana Civinini che si
chiede anche perché la giustizia dei tribunali, in questa occasione, non sia stata
considerata fra i servizi essenziali come, invece, i tabaccai, i giornalai, le banche, le
poste, i trasporti.
È, questa, una domanda indispensabile da porci che certamente merita una risposta
molto più articolata di quella che può essere data in questo contesto.
Personalmente credo che sia invalsa nell’immaginario collettivo l’abitudine ad una
tale disfunzione della giustizia italiana, non solo civile, in termini di lunghezza dei
processi da rendere scontato ed ammissibile l’inammissibile, ossia ritenerla non
essenziale.