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Chi ha paura della trasparenza?

Home - Articoli di approfondimento - Chi ha paura della trasparenza?

11 Gennaio 2016 by Marcucci Carla
Chi ha paura della trasparenza copertina

Gli avvocati che per la prima volta si avvicinano alla Pratica Collaborativa sono sempre, sistematicamente, afflitti da un dubbio, ovvero se il principio della trasparenza nello scambio delle informazioni rilevanti fra le parti sia compatibile con la difesa. L’impegno che le parti assumono di dirsi tutto – ad esempio, dichiarare le risorse economiche ed i redditi effettivi, ammettere eventuali relazioni extraconiugali, informare circa determinati stati di salute – per mettere l’altro in condizione di assumere una decisione consapevole di solito, al primo impatto, spaventa moltissimo. Da professionisti abituati a prevedere tutti gli scenari possibili gli avvocati s’interrogano immediatamente circa le conseguenze di tale “disclosure” nel caso in cui la procedura fallisca e le parti si ritrovino a dover avviare un giudizio contenzioso avendo informato di tanti dati sensibili il coniuge/partner a quel punto divenuto “controparte”.

Qui non voglio trattare le cautele approntate per tutelare la riservatezza nell’ambito della Pratica Collaborativa né i molti vantaggi e le tante ragioni per le quali le parti, rese consapevoli di quel rischio residuo di possibile strumentalizzazione delle informazioni da parte dell’altro/a, decidono comunque di scegliere questa procedura. Lo abbiamo già fatto in tante altre sedi nell’ambito delle molte attività dell’Associazione.

Oggi desidero, invece, rovesciare il punto di osservazione e prendere in considerazione gli obblighi delle parti nelle altre procedure, ossia nella trattativa tradizionale stragiudiziale e nel giudizio contenzioso.

Mi pare di poter affermare, infatti, che, anche nell’ambito di questi contesti, non dorme certo sonni tranquilli chi omette maliziosamente informazioni o le manipola ad arte per indurre il partner ad accettare soluzioni diverse da quelle che sarebbero pretese, se a conoscenza dei dati reali, o il giudice ad adottare decisioni contrarie alla verità dei fatti.

La Corte di Cassazione, con una recentissima sentenza (n 8096/2015), ha fatto pagare a caro prezzo il comportamento di un marito che, per convincere la moglie ad accettare la proposta di divorzio congiunto a certe condizioni, aveva ceduto e poi riacquistato la parte più cospicua del suo patrimonio. La Suprema Corte ha rimesso in pista la moglie confermando l’esistenza dei presupposti del dolo processuale revocatorio, che si verifica quando venga posta in essere intenzionalmente un’attività fraudolenta consistente in artifici e raggiri diretti ed idonei a paralizzare o sviare la difesa avversaria e ad impedire al giudicante l’accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale e, così facendo, pregiudicando l’esito del procedimento.

La questione non è certo nuova ed attiene, più in generale, al problema di teoria generale del processo, se le parti abbiano un dovere di verità e completezza, ricavabile dal più generale dovere di lealtà e probità espressamente previsto all’art. 88 c.p.c. e da un’interpretazione sistematica del codice di procedura civile (disciplina della responsabilità processuale per danni ex art. 96 c.p.c. e istituto della revocazione della sentenza per dolo della parte ex art. 395 1° comma n. 1 c.p.c.), o se, invece, possano legittimamente nascondere fatti rilevanti per la decisione della lite ed anche deliberatamente mentire in giudizio.

La pronuncia richiamata della Corte Suprema non è isolata e s’inserisce in un orientamento che ha trovato la sua consacrazione in una risalente decisione a Sezioni Unite (n. 9213/1990) dalla quale possiamo ricavare addirittura che “anche il mendacio o il silenzio su fatti decisivi possono integrare gli estremi del dolo revocatorio” .

Se la menzogna e la reticenza comportano conseguenze processuali tanto importanti, come una responsabilità processuale ex art. 96 c.p.c. e per dolo revocatorio ex art. 395 1° comma n. 1 c.p.c., é evidente che il difensore si deve porre il problema della trasparenza del proprio cliente anche quando lo assista e rappresenti in procedure molto diverse dalla Pratica Collaborativa, addirittura nell’ambito di un contenzioso giudiziario.

Una vittoria basata sulla falsa rappresentazione della realtà, ottenuta approfittando delle asimmetrie informative e/o probatorie fra le parti, potrebbe, infatti, risultare il provvisorio e fallace traguardo di chi non si è posto il problema della possibilità, da parte del danneggiato da tale comportamento, di rimuovere sentenze ingiuste anche se passate in giudicato.

Categoria: Articoli di approfondimentoTag: Legge, Principi

Autore

  • Marcucci Carla
    Marcucci Carla

    Sono un avvocato con quaranta anni di esperienza ed esercito la professione esclusivamente nel settore del diritto delle persone, delle relazioni familiari e minorile. Sin dall’inizio della professione ho molto creduto nelle modalità non contenziose di risoluzione dei conflitti a cominciare dalla mediazione familiare alla quale mi sono formata dai primi anni ‘90. Dal 2010 sono formata anche alla Pratica Collaborativa e da allora sono particolarmente impegnata nella promozione e diffusione in Italia di questo nuovo metodo di risoluzione dei conflitti nell’ambito dell’attività svolta all’interno dell’AIADC Associazione Italiana Professionisti Collaborativi di cui sono socia fondatrice, Past President e formatrice dopo esserne stata presidente nel biennio 2016/2018. Sono co-autrice del primo manuale pubblicato in Italia sulla Pratica Collaborativa dal titolo "La Pratica Collaborativa -Dialogo fra teoria e prassi" a cura di Marco Sala e Cristina Menichino, Torino, 2017 e del libro "La Pratica Collaborativa raccontata dai figli. Un metodo per separarsi a loro misura", Pacini Editore 2024. Dal 2010 sono socia dell’International Academy of Collaborative Professionals (IACP), ho partecipato alle sue commissioni di lavoro, alle sue conferenze internazionali a cadenza annuale ed alcuni miei articoli sono stati pubblicati sulla rivista dell’IACP The Collaborative Review. Mi sono formata alla negoziazione basata sugli interessi frequentando i corsi organizzati dal Program on Negotiation (PON) dell’Harvard Law School a Cambridge USA, a Milano (PON Milan), online (ad esempio, Getting to Yes with William Ury’s BB3 Strategy PONx program , One-Day Expert Programs) oltre che frequentando in Italia, all’estero ed online altri corsi tenuti da professori dell’Harvard Law School (fra gli altri, Gary Friedman, Joshua Weiss, David Hoffman). Ho tradotto in italiano il libro "Trouble at the Watering Hole- The Adventures of Emo and Chickie" di Gregg F. Relyea e Joshua N. Weiss pubblicato nel 2021 con il titolo "Piccoli negoziatori crescono", un racconto, corredato da guida per genitori ed insegnanti, per educare i bambini ad un approccio problem solving. Sono stata componente del Consiglio Direttivo Nazionale dell’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori (AIAF) dalla costituzione dell’associazione, avvenuta nel 1993 sino all’aprile 2019. Sono stata Presidente dell'AIAF Toscana dal 1993 all'aprile 2004 nonché componente del suo Consiglio Direttivo sino all'aprile 2014. Sono stata componente del Comitato Scientifico dell’Alta Scuola di Formazione dell’AIAF, con sede principale in Milano e varie sedi distaccate in Italia, dalla costituzione al febbraio 2020 nonché componente del corpo docenti. Nella mia lunga vita professionale ho sviluppato specifiche competenze ed esperienza nella gestione delle controversie familiari, sia in via negoziale che contenziosa, implicanti complesse questioni di carattere economico/patrimoniale, impegnativi problemi relativi al regime di affidamento, domiciliazione e frequentazione dei figli (ad esempio, casi di alienazione genitoriale, trasferimento di un genitore all’estero con richiesta di condurre con sé i figli, problemi di attuazione nella frequentazione di uno dei genitori e molti altri ancora). Mi sono molto occupata di rappresentanza e difesa delle persone minorenni, sia da un punto di vista pratico che teorico (curatore speciale, tutore e avvocato del minore). Sono una convinta sostenitrice della funzione sociale dell’avvocatura e sento fortissima la passione per questa professione che esercito, prima ancora che come un lavoro, come impegno prioritario nella vita. Per maggiori informazioni sul mio percorso formativo e professionale e su come lavoro rinvio al mio sito web carlamarcuccifamilylaw.it.

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